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25 lug 2019

Gatti "maomettani"

di Luciano Caveri

Amo gli animali di un amore sincero. Naturalmente facendo dei distinguo sul mondo animale nel suo complesso, visto che conta - secondo i calcoli assai diversi fra loro - dai tre ai cento milioni di specie. Aggiungo che sarei falso a dire che, in questa immaginaria "Arca di Noè" di cui non riesco neppure a concepire la stazza, mi piacciano tutte queste specie in modo indiscriminato. Arranco tra l'altro di avere contezza di a che cosa corrispondano in concreto numeri così da capogiro, sarei un ipocrita. In più esiste un principio abbastanza assodato: a noi interessano di più, come simpatia e empatia, gli animali con un muso più simile al nostro e che hanno accettato la domesticazione. Chi dice - che so! - di amare ragni, coccodrilli, zanzare, lombrichi ha dei seri problemi.

Preciso ancora che l'amore non sfocia nell'animalismo estremo, che mi repelle come una zecca o una pulce, girando attorno a teorie di una zoofilia anti-umana che fa venire in brividi nella foga che diventa poi azioni violente e autolesionismo verso la specie umana, che ha enormi doveri sulla Natura, ma resta l'unica con un cervello dimensionato per pensare a livelli irraggiungibili già per i primati a noi più simili. Che poi la razza umana sia capacità di nefandezze terribili lo sappiamo bene, ma non cambia il dato. Questo penchant pro animali non significa che io non abbia, ad esempio, un rapporto sin da piccolissimo assolutamente particolare con i gatti (a pari livello coi cani, ma quella è altra storia). Questo felino portatile è una meraviglia ed ha un legame con noi umani che mai gli ha fatto mancare quello spirito di libertà che ha trasformato altri animali domestici in nostre appendici. Il gatto resta "il gatto" e ci osserva con quell'aria un po' così di chi, in fondo, pensa che ad essere stati addomesticati siamo noi e non viceversa. Oggi non ho gatti, perché per un crudele contrappasso mia moglie è allergica al loro pelo. Pare che non diano problemi il gatto "Norvegese", che però ha una stazza improponibile ed anche il famoso gatto "Canadian Sphynx", del tutto glabro, ma questa sua nudità senza pelliccia mi fa troppa impressione. Visto che ogni tanto si scoprono cose nuove, al mio patrimonio di gattofilia si è aggiunta divertente rivelazione, avvenuta in queste ore in Turchia e di cui non avevo mai avuto consapevolezza in Paesi dove la fede islamica è ben più solida di quanto sia ancora oggi il Paese della mezzaluna grazie all'iniezione di laicità, ormai quasi anni cento anni fa, dal grande traghettatore verso la modernità che fu Mustafa Kemal Atatürk. Oggi Recep Tayyip Erdoğan immagina un destino da Califfo del tutto in controtendenza con questi sforzi. Altra storia, meno amena dei mici. Ma torno ai gatti, grandi amici della mia vita ed allo stupore di vedere anzitutto ad Istanbul gatti randagi sui generis dappertutto, compresi i luoghi turistici più noti. Sui generis perché sono amati, rispettati e accuditi della popolazione. Nella religione islamica l'animale è considerato puro e immacolato, ma il rispetto deriva anche dall'affezione dimostrata dal profeta dell'Islam, Maometto. Una leggenda narra che avesse avuto una gatta di nome "Muezza" alla quale era particolarmente legato. Trascorreva molto tempo con lei. Un giorno, "Muezza" stava riposando su un lembo del mantello del profeta. E chiunque conosca i gatti sa che quando dormono sono catalettici e disturbarli è un delitto. Mentre il Profeta e la gatta erano in pieno relax, una campana suonò per avvisare che era arrivata l'ora della preghiera. Maometto non voleva certo mancare ai suoi doveri, ma non se la sentiva di interrompere il sonno di "Muezza". Dopo averci pensato un po' decise di tagliare il pezzo di mantello sul quale la gatta si era accoccolata. Recise il lembo e si recò alla preghiera. Quando la preghiera terminò, Maometto tornò da "Muezza", che nel frattempo si era svegliata. Lei si produsse in un inchino prolungato per ringraziarlo di averla lasciata riposare. Allora lui, colpito da tanta gratitudine, offrì una serie di doni alla sua gatta e a tutti i gatti che sarebbero arrivati dopo di lei. Li dotò - così dice la storia - della capacità di sopravvivere alle cadute, anche da altezze significative, diede loro nove vite e riservò per loro un posto in Paradiso. In più, donando a "Muezza" un pezzo del suo mantello, intriso della magia del Profeta, egli conferì alla gatta e a tutti i suoi simili poteri straordinari. Da figlio di veterinario posso testimoniare certe insperate risorse fisiche dei gatti! Di questa "protezione" maomettana ora ne usufruiscono i gatti multicolori che ad Istanbul si aggirano fra i caffè e le moschee, dentro musei e giardini con fare indolente, come se fossero espressione della bellezza e del carattere che li circonda. A loro, in particolare a sette di loro scelti nel mazzo, è stato dedicato "Kedi. La città dei gatti", il docu-film che la regista turca Ceyda Torun ha realizzato seguendoli per lungo tempo fra i vicoli dell'enorme città distesa fra Asia ed Europa. Film - consigliatomi dalla guida turistica - perché dimostra in modo magistrale questo rapporto particolare con il felino. Ma anche ad Antalya, la città sul Mediterraneo del turismo costiero, culla di civiltà antiche che si sono succedute a governarne i porti, ho visto gatti come piccoli califfi. Nei pressi del centro esiste un villaggio dei gatti con casettine come abitazione per grandi e cuccioli, che riportano sopra la porticina il nome di chi - mecenate dei felini - l'ha offerta in dono. E' una piccola storia che racconta di come aspetti sociali e culturali si intreccino fra passato e presente.