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13 lug 2019

Aujourd'hui...

di Luciano Caveri

Non ci si accapiglia più di tanto ormai sul Francese in Valle d'Aosta, come se questa lingua fosse ormai destinata a spegnersi, raggiungendo il risultato perseguito da molti dall'Unità d'Italia in poi, quando la piccola Valle era rimasta unica isola linguistica della vecchia lingua materna dei Savoia stessi. Personalmente non ho mai dato una lettura ideologica della lingua e delle sue conseguenze. Il particolarismo valdostano è un fatto millenario, forgiato più da ragioni geografiche ed economiche legate al contesto alpino che alla questione linguistica, nata e sviluppatasi - come dicevo - quando la Maison de Savoie ha deciso di scendere la Penisola e rompere quei legame d'Oltralpe che affondavano le radici anche nel francese.

Io resto convinto non solo del valore storico del francese, per conoscere sé stessi e il proprio passato che aveva nel bilinguismo francese-francoprovenzale il suo cardine, ma anche del fatto che - usciti gli inglesi con la "Brexit" - il francese si rafforzerà nell'Unione europea e si mantiene bene nel mondo, dando ai valdostani - che hanno libertà di imparare anche l'inglese per completezza - una chance in più come ben sanno i tanti giovani finiti in Paesi con l'uso del francese. Nella mia esperienza poter esprimersi in francese, leggere in quella lingua, poter seguire con dimestichezza il vasto mondo francofono dei media, è un valore aggiunto e ciò malgrado gli errori fatti nell'insegnamento del francese, fatto in modo troppo scolastico e senza la capacità in genere - ma ci sono molte eccezioni - di far capire il suo valore per l'intelletto e per i rapporti di prossimità, visto che Francia e Cantoni Romandi sono dietro le montagne. Per chi è intelligente - e molti imprenditori valdostani lo sono - quel mondo dietro l'angolo, parlando bene il francese, può essere davvero una miniera d'oro. Nel mio caso con il francese ci lavoro nel mio mestiere radiotelevisivo e non perdo occasione per trovare libri preziosi e poter navigare alla ricerca di cose interessanti. Faccio un esempio che mi pare simpatico su un'espressione, "aujourd'hui", definito in un articolo su "Le Figaro" «un pléonasme très français» grazie alla penna arguta di Claire Conruyt, che parte da questo benedetto giorno che - scusate la banalità - ci occupa ogni giorno, ma mai come quando si è in vacanza, e io sto per andarci, ci dimostra come ci si debba pensare a questo tempo che regola la nostra vita, facendo l'impossibile affinché siano più i momenti belli di quelli brutti, facendo gli appositi scongiuri. Scrive la Conruyt: «Vingt-quatre heures et pas une minute de plus. Voilà la durée d'une journée. Une fois ces 86.400 secondes passées, l'aube pointe déjà et nous propulse dans le "demain" (de mane, qui signifie littéralement "au matin"). Un autre jour, somme toute. Puis un autre. Et encore un autre. "Le jour succède au jour", s'écrie Lamartine. Le temps file et nous n'en avons jamais assez. Alors, peut-être parce qu'il est plus facile de nous bercer de l'illusion de le contrôler, nous le délimitons. Jamais, maintenant, avant, désormais, bientôt, toujours, hier, matin, soir, après-midi et... aujourd'hui. Étrange mot que ce dernier. Il s'avère qu'en réalité, "aujourd'hui" est un pléonasme». Per chi se lo fosse perso, "pleonasmo", che si presenta quando ci sono parole che contengono un valore rafforzativo, di cui magari non ce ne sarebbe bisogno, ma quella parte in più rende ancora più forte il valore espressivo. Prosegue l'autrice: «Disséquons le mot. Nous y trouvons la marque temporelle "au jour", c'est évident. "Au jour" est donc suffisant pour exprimer cette durée de 24 heures. Que vient donc faire le "hui"? Comme le rappelle Jean-Loup Chiflet dans son Petit traité singulier des pléonasmes insoupçonnés ("Le Figaro"), ce mot vient de l'ancien français qui signifie "le jour où l'on est". En témoignent le "hoy" espagnol et le "oggi" italien, tous deux issus du latin "hodie" ("hoc die", "en ce jour") qui veut dire "aujourd'hui". "Aujourd'hui", donc, se traduit littéralement par "Au jour de ce jour". Redondant, n'est-ce pas? Comme l'explique "Le Trésor de la Langue française", "le renforcement de hui par le mot jour est particulier au français". Pourquoi cela? "Nul ne le sait", répond Jean-Loup Chiflet avant de préciser que le vilipendé "au jour d'aujourd'hui" est une triple redondance. Cependant, tous ne s'accordent pas sur ce point. Alain Rey, dans un article du "Magazine littéraire", explique ne pas observer de pléonasme». Si potrebbe anche chiudere qui, se non fosse che per fortuna le parole finiscono in letteratura e sono gli scrittori che danno dare forza a certe espressioni: «En effet, "aujourd'hui ne veut pas toujours dire le jour, la journée où nous sommes, et d'où je parle', mais plus généreusement le temps présent''. L'éminent lexicologue cite "Les Contemplations" de Victor Hugo dont la première partie est intitulée "Autrefois" et la seconde, "Aujourd'hui" sous-titrée 1843-1855. N'entend-on pas souvent la formule "Aujourd'hui, les jeunes ne veulent plus travailler"? Ici, le "aujourd'hui" équivaut à un "de nos jours". En effet, Alain Rey médite: "Un aujourd'hui de douze ans, cela permet bien des jours de vingt-quatre heures, et un temps ponctué d'hiers, d'aujourd'huis et de demains". Ainsi, employer la formule "au jour d'aujourd'hui" permet d'insister sur le jour où l'on parle plutôt que d'une époque, au sens large. L'on comprend mieux le soupir de Lamartine parlant de Dieu dans un de ses poèmes: "Il le sait, il suffit: l'univers est à lui, Et nous n'avons à nous que le jour d'aujourd'hui". ("L'Homme, Méditations poétiques"). Autre explication: c'est au XIIe siècle que les habitants d'Île-de-France commencent à dire "au jour d'hui", en quatre mots, "trouvant sans doute que leur hui était trop court, ou ressemblait un peu beaucoup à oïl, notre oui", explique le lexicologue». E' bello scavare e ritrovare le ragioni di certe parole, perché ne nasce una consapevolezza che le fa uscire dalla banalità del loro impiego.