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24 giu 2019

Renzi se ne andrà?

di Luciano Caveri

Il quadro politico italiano, da cui giocoforza la Valle d'Aosta non può prescindere, resta piuttosto caotico e quel che capita nella maggioranza del Governo Conte è ben visibile e sfibrante per i continui litigi dell'alleanza "impossibile" fra leghisti e "pentastellati" ormai cani e gatti, ma certo l'opposizione non ha meno problemi, soprattutto a porsi come credibile alternativa. Ho seguito con interesse, curiosità e qualche aspettativa speranzosa l'avvento di Matteo Renzi, pur non essendo del Partito Democratico. Mi sembrava il suo uno stile nuovo, fatto di pragmatismo e di desiderio di immergersi nella società, rompendo vecchi schemi mentali. Invece vecchie e nuove storie hanno spezzato ogni illusione.

Avevo personalmente sottostimato il suo trascorso democristiano (aggettivazione che non ha per forza una connotazione negativa, ma in questo caso sì), che lo aveva portato ad essere presidente della Provincia di Firenze e poi sindaco della sua città. La sua leadership è stata connotata da una logica potenzialmente autoritaria e legata ad una spasmodica sete di potere e da un egocentrismo evidente. Così il suo "giglio magico" (oggi al centro della vicenda opaca legata alla Magistratura) è rimasto il solito giro di amici, sodali e leccaculo, fatto di passerelle e di birignao, più attento a piacere che a fare e con un sostanziale atteggiamento di disprezzo per gli altri. Ogni mese ha consentito, sino alla caduta, di vedere quanto le speranze si sfaldassero di fronte ad una presunzione condita di supponenza. Per me l'errore letale è stato l'abile tentativo di costruirsi una Costituzione su misura, in una logica di centralizzazione di ogni decisione su Palazzo Chigi e su di lui con una logica statalista impressionante e un refrain antieuropeista contrario a tutta la storia dei popolari cui pure apparteneva. Gli elettori hanno stroncato al referendum questa manovra, di cui ho sentito odore di bruciato sin dalle fiducia posta per i voti in Parlamento, vedendosi chiudere del tutto la speranza che le "florentin" (come lo chiamavano con sarcasmo i francesi) aveva per un attimo rappresentato. In fretta questa mia convinzione si è fatta una certezza. Il cambiamento può essere un inganno, il nuovo più vecchio del vecchio, certe sconfitte per chi non vuole capire non aiutano a cambiare. Anzi: nessuna analisi seria e soprattutto niente dimissioni a tempo debito, come promesso in caso di bocciatura della riforma. Ha scritto su Renzi Ferruccio De Bortoli, di cui da premier chiese la testa perché non allineato alla direzione del "Corriere della Sera": «Del giovane caudillo Renzi, che dire? Un maleducato di talento. Il "Corriere" ha appoggiato le sue riforme economiche, utili al Paese, ma ha diffidato fortemente del suo modo di interpretare il potere. Disprezza le istituzioni e mal sopporta le critiche». Ma ora il renzismo, che in Valle d'Aosta ha accompagnato l'ultima stagione del rollandinismo con un "do ut des" privo di reale riscontro come la cessione a un sindaco PD della città di Aosta senza risultati apprezzabili (il risultato del Partito Democratico delle Europee in Valle è un fuoco fatuo), cercherà di risorgere dalle sue ceneri con un nuovo movimento politico a livello nazionale. Credo che Renzi sovrastimi le sue potenzialità e l'impatto che la rete di potere familistica e clientelare può aver avuto sulla sua credibilità. Ma è vero che gli italiani sono privi di memoria e si fanno incantare facilmente dai pifferai magici. Per cui alla fine si vedrà cosa Renzi muoverà o non muoverà nella sua nuova avventura politica. Quel che è certo - e il PD ne soffre come tutti gli altri partiti che non hanno leader unici che fanno e disfano - è che il maggior partito d'opposizione arranca e non è un bene per la democrazia nel suo complesso e la probabile scissione centrista, ammiccante alla destra moderata, non semplificherà la situazione. Certo, Nicola Zingaretti - nel decidere il gruppo dirigente dei democratici - ha deliberatamente escluso dai posti di responsabilità i renziani e vien da pensare ad una scelta dovuta proprio alla certezza degli ormai imminenti moti centrifughi dell'ormai quasi transfugo Renzi.