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06 giu 2019

Fare i conti con l'europeismo

di Luciano Caveri

Ammetto di essere ogni tanto micragnoso nei miei pensieri, ma ho imparato che certa ginnastica mentale fa altrettanto bene della ginnastica per il corpo, e questo vale soprattutto nei periodi di passaggio, in cui invidio la sicumera di chi si muove come sapesse tutto e prevede con certezza quanto avverrà in futuro. Io spesso vago nel buio e mi rifaccio al mio ottimismo per pensare che nulla è perduto. Questo vale anche per l'europeismo che "tiene" nella nuova composizione del Parlamento europeo e chi, come me, è europeista ne trae buoni auspici. Questo significherà una necessità di sintesi fra tre famiglie politiche a Bruxelles, vale a dire popolari, socialisti e liberaldemocratici, con un'apertura ai verdi. Credo, per esperienza, che sia possibile trovare terreni comuni e lavorare in modo proficuo.

Senza nascondere la grande emergenza: rendere più efficace l'Europa, riformandola in profondità, capendo che cosa non ha funzionato se una larga parte dei cittadini europei hanno ritenuto di non votare o di votare chi a sinistra come a destra l'Unione europea vorrebbe persino chiuderla. Auspico che il Presidente della Commissione sia il savoiardo Michel Barnier, mio amico ed "Ami de la Vallée d'Aoste". Sarebbe un grande cambio di passo. E' vero, aggiungerei, che la percentuale di anti-europeisti eletti in Italia crea in sostanza un'"eccezione" nella grande Assemblea democratica di Strasburgo (lì si riuniscono le plenarie), che isola e preoccupa, ma il contesto generale non è così negativo. L'aspetto allarmante è presto detto: se l'Italia decidesse di fare il "Pierino la Peste" nell'Unione, visto che di alleanze è in grado di farne poche, può avere uno spazio politico - pensando alle molte materie in cui le decisioni prevedono l'unanimità degli Stati - ma si tratterebbe di una scelta destinata ad essere pericolosa e senza uscita. A meno che questo insistere non abbia lo scopo di farsi cacciare e in quel caso sarebbe bene - una volta per tutte - capire quale sarebbe il contenuto reale di un'"Italexit", alla luce dell'esperienza inglese, e della collocazione continentale dell'Italia e le sue scarse chance di tenuta in caso di "splendido isolamento sovranista". Sarebbe diverso se ci fosse una riflessione sull'Europa fatta di progetti ed idee e da questo punto di vista chi crede nella pur ambigua definizione dell'Europa dei popoli, che nella sua genericità copre tutte le posizioni, sarebbe interessata di capire dal Governo Conte come una nuova Europa dovrebbe collocarsi. Capisco che non è facile perché par di capire che sul tema leghisti e "pentastellati" non trovino facilmente una posizione comune. Per intenderci: come Autonomista valdostano ritengo che una trasformazione in un'Europa con più forza degli Stati e meno contenuto d'Europa sarebbe un passo indietro storico. Vorrei però capire se si milita per un'Europa delle Regioni (termine multiforme nel confronto fra i Paesi membri, ma chiaro nel caso italiano), che dia alla democrazia locale un peso di interlocuzione vero con il sistema europeo e non solo attraverso i meccanismi della politica regionale. Su questo mi piacerebbe capire bene la giunzione fra situazione interna dell'Italia e proiezione europea. La richiesta dei presidenti leghisti di avere nel Nord un'Autonomia differenziata forte in alcune Regioni chiave come Veneto e Lombardia sembra essere una sopravvivenza del federalismo del "leghismo" delle origini. In assenza della volontà, che sarebbe consentita dai numeri di una riforma federalista dell'Italia incompatibili, al momento, con la nuova posizione marcatamente nazionalista e di conseguenza centralista (per altro la Lega oggi ha nel Sud un grande bacino di voti), si tratterebbe comunque di una scelta importante di rafforzamento del regionalismo (in controtendenza con la riforma Renzi del Titolo V della Costituzione marcatamente statalista). Tuttavia è difficile essere nel contempo sovranisti ed assieme spingersi ai confini fra regionalismo e federalismo. Perché si tratta davvero di mettere assieme mele e pere in una logica che non tiene. E questa scelta di politica interna, che pesa sugli aspetti istituzionali e costituzionali, si riflette sulla visione dell'Unione europea. Se si crede nel rafforzamento delle Regioni, che significa svuotamento dello Stato, bisognerebbe - in analogia con Stati federali con Germania e Belgio - rafforzare il regionalismo nel disegno europeista. Ma davvero è così? Insomma: una bella questione che pone in gioco pesantemente la discussione sul futuro della nostra Valle e del suo posizionamento futuro. Più Stato e meno Europa sarebbe assai negativo per noi ed anche più regionalismo senza Europa sarebbe una contraddizione. Ci sarebbe il meraviglioso slancio federalista, ma che resta per ora chiuso a chiave nel mondo delle idee. Mentre lo si evoca di tanto in tanto, gli scenari sembrano prendere una piega inversa verso quel centralismo che nuoce gravemente.