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29 apr 2019

A tutta birra!

di Luciano Caveri

Il punto di partenza è un brano tratto dal libro spassoso "Breve storia dell'ubriachezza" di Mark Forsyth: «Sembra che la birra esistesse ancor prima che esistessero i templi o l'agricoltura. Il che ci porta a una grande teoria sulla storia umana: non abbiamo cominciato a coltivare perché volevamo del cibo, in giro se ne trovava parecchio. Abbiamo cominciato a coltivare perché volevamo qualcosa da bere». Aggiunge con un grande humour: «E' molto più plausibile di quel che si potrebbe pensare, per sei motivi. Uno, la birra è più facile da preparare del pane, visto che non servono forni roventi. Due, la birra contiene la vitamina B, necessaria agli esseri umani per mantenersi forti e in salute. I cacciatori ricavano la vitamina B mangiando altri animali. In una dieta a base di pane - senza birra - i coltivatori di cereali si sarebbero trasformati dal primo all'ultimo in mollaccioni anemici e sarebbero stati uccisi dai cacciatori più robusti e sani. Ma è la fermentazione del grano e dell'orzo a produrre la vitamina B».

«Tre, la birra - molto semplicemente - è un alimento migliore rispetto al pane - continua Forsyth - E' più nutriente perché il lievito si è già occupato per te di una parte della digestione. Quattro, la birra può essere immagazzinata e consumata più tardi. Cinque, l'alcol contenuto nella birra purifica l'acqua utilizzata per ottenerlo, uccidendo tutti i microbi infidi. Il grande problema del diventare stanziali è che devi andare a fare la cacca da qualche parte e, di conseguenza, i pezzettini di quella cacca trovano il modo di filtrare nell'acqua e, successivamente, finiscono dritti nella tua bocca. Un problema inesistente per i nomadi. La sesta e più solida motivazione, però, è che per cambiare davvero comportamento è necessaria una spinta culturale. Se valeva la pena viaggiare per la birra e se la birra era una bevanda legata alla religione, allora persino i cacciatori più zelanti potevano probabilmente farsi convincere a stabilirsi e coltivare un po' di sano orzo per prepararla». Ne scrivo - con una birra sotto mano - da Monaco di Baviera, dove sono in viaggio per diletto e non posso che evocare una straordinaria occasione di festa con la "Jeunesse Valdôtaine" all'Oktoberfest di tanti anni fa. Serata con epilogo alcolico per essere franco, perché credo che un astemio nel padiglione basculante per canto e movimenti a ritmo di musica non potrebbe sopravvivere. La birra è sempre la birra. Ho poi fra le mie esperienze - proprio in tema di birra - visitato in Cechia lo stabilimento del produttore "Budejovicky Budvar" in lotta in tutto il mondo con il gruppo americano "Anheuser - Busch". E' da un secolo che i due produttori - americano e ceco - si fanno la guerra in numerosi Paesi riguardo ai diritti di utilizzo del nome "Budweiser" per le loro birre. Anche l'esperienza, a cavallo per il Parlamento europeo fra Bruxelles e Strasburgo, è stata la scoperta di come il rito di una buona birra abbia un suo perché e lo scoprii da ragazzo già con i boccali a forma di stivali, bevuti sotto gli ippocastani della "Birreria Broglio" a Borgofranco, a due passi dal vecchio stabilimento di birra, ormai cadente, a fianco ai meravigliosi balmetti, cantine nella roccia delle montagne. Sono contento che nascano in Valle birrerie artigianali e ciò significa autoproduzione di qualità. Molto meno tecnico e più marketing è stata la visita, multimediale e piena di sorprese, alla vecchia fabbrica della "Heineken" ad Amsterdam. Ricordo che la Valle ospita il anche il grande stabilimento "Heineken" di Pollein, ma non vengono più usati da tempo quei marchi ereditati nelle acquisizioni che ricorderebbero - se viventi - un passato prestigioso dei birrifici valdostani, come "Zimmermann" (ricordo da "Gervasone" a Verrès la bottiglietta con un'etichetta verde) ed "Aosta". Si trova nella storia di questi marchi, come in quello "Menabrea" di Biella con la famiglia Thedy (oggi della "Forst"), tutta la forza imprenditoriale nel settore della birra dei nostri walser, protagonisti anche in Baviera - con un ramo dei Beck-Peccoz - con la birra "Kuhbacher" che proprio all'Oktoberfest esibisce i suoi prodotti e la birra nobile la "Bierfest" di Gressoney-Saint-Jean. D'altra parte, i walser sono stati e resteranno - se riusciranno a salvare la loro cultura - un "ponte" con il mondo germanofono, di cui la birra è componente identitaria importante. Accanto al gigantismo delle multinazionali, che si sono mangiate i più piccoli concentrando le produzioni in stabilimenti enormi, oggi ci sono tutti gli spazi per produzioni locali. Che i nuovi birrifici artigianali, che stanno crescendo, ricordino la storia della birra in Valle! Chiudo con un aneddoto. Mio papà nella primavera del 1945, in fuga dal campo di concentramento dove lo avevano rinchiuso i nazisti assieme ad un gruppo di giovani valdostani, si trovò con alcuni compagni d'avventura in un paesino del Tirolo. Si avvicinò ad una donna fuori dalla sua casa per chiedere di essere rifocillati e scopri che era la zia di un suo compagno del ginnasio, che mi pare si chiamasse Otto Zingl, figlio di un maestro birraio austriaco della birra Aosta e fu, per loro emaciati e stanchi, una festa, naturalmente anche con un boccale di birra!