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03 mar 2019

Trump e Kim Jong-un falliscono

di Luciano Caveri

Mi faceva impressione quando - da bambino - andavo in Svizzera, profittando dei due trafori alpini (per Ginevra dal Monte Bianco aperto nel 1965, per il Vallese attraverso il Gran San Bernardo inaugurato un anno prima), e mio papà mi raccontava che sotto la casa gli elvetici avevano i rifugi antiatomici. Che ne sapevo io, impegnato nei primi anni delle scuole elementari, di questa storia che mi trovavo sulla testa della "Guerra fredda" e della minaccia di finire volatilizzato da un esplosione nucleare. Crescendo - e studiando la genesi e le conseguenze delle bombe atomiche, rese sempre più sofisticate nel tempo - ho capito bene questa storia dell'equilibrio del terrore ed ho ben compreso anche i rischi che oggi forme artigianali di ordigni atomici possano servire per terribili stragi ai terroristi di turno.

Proprio in queste ore al figlio più piccolo, mio coetaneo rispetto alla mia età dell'epoca, è saltato il ticchio di chiedermi cose sulla bomba atomica ed ho provato goffamente ma con impegno a fare un breve riassunto delle puntate precedenti, perché è ben che sin da piccoli capiscano in che mondo sbilenco viviamo, avvolti dalla retorica per la Pace ma sempre pronti alla Guerra, compresa quella atomica che potrebbe farci la fine dei dinosauri. Esempio che al piccolino è piaciuto moltissimo. E proprio in queste ore due brutte notizie rafforzano la cappa di preoccupazione mai definitivamente scomparsa. Tipo: India e Pakistan (entrambe con la bomba atomica) che si mettono a guerreggiare sui confini e soprattutto, nelle ultime ore il fallimento del summit in Vietnam fra Stati Unita e Corea del Nord. Scrive il "Corriere della Sera": "Il vertice di Hanoi è fallito clamorosamente, contro ogni previsione e a dispetto di una lunga preparazione diplomatica che non c'era stata prima della stretta di mano di Singapore lo scorso giugno. Trump torna a Washington danneggiato nel suo personale prestigio di presidente e con un buco nell'acqua in politica estera che va ad aggiungersi alle altrettanto gravi difficoltà in politica interna dopo le accuse del suo ex avvocato. Kim Jong-un, e qui sta forse la possibile spiegazione di quanto è accaduto, rientra invece nel ben diverso sistema di Pyongyang potendosi vantare di non aver ceduto di un solo centimetro sulla difesa del suo arsenale nucleare: è verosimile che i militari gli avessero imposto questa priorità (i primi malumori c'erano già dopo Singapore), e che negoziare davvero con gli Usa rappresentasse per lui un rischio troppo alto". I due bizzarri protagonisti del summit hanno fallito a dispetto della grancassa dei giorni immediatamente precedenti in cui l'aggetto più usato era "storico". Prosegue l'articolo: "Nell'amichevole e accogliente Hanoi (ironie della storia) non si è dunque riusciti ad archiviare un pericolo di scontro nucleare diventato credibile da quando Pyongyang sostiene di poter colpire il territorio metropolitano degli Usa, la rinuncia nordcoreana ai test atomici rimane provvisoria, e di un grande scambio tra road map per ridurre progressivamente il nucleare e altrettanto progressiva cancellazione delle sanzioni economiche non si è nemmeno potuto parlare perché Kim Jong-un, secondo quanto ha riferito Trump, ha preteso la totale cancellazione. Sapendo benissimo che in quel modo l'incontro era condannato al fallimento perché il presidente Usa avrebbe dovuto accettare una resa senza condizioni per soddisfarlo". Commento del "Corriere": "Una grande occasione è stata sprecata, e non sarà facile tornare alla trattativa. La Corea del Nord conferma di considerare il suo arsenale nucleare una irrinunciabile garanzia non soltanto per la sua sicurezza ma anche per la sopravvivenza di un regime considerato il più tirannico del mondo (80.000 detenuti in campi di "rieducazione" anche per infrazioni politiche trascurabili, fame, maltrattamenti che rasentano la tortura), e su questa base è arduo immaginare che la diplomazia possa celermente riportare le parti attorno a un tavolo. Soprattutto mentre si avvicinano le elezioni presidenziali americane del 2020". Viene infine sottolineato il ruolo molto ambiguo della Cina in questa partita. Insomma: poco da stare sereni e dimostrazione che i dittatori sanguinari non sono interlocutori affidabili e che il Presidente Trump, populista e mediocre in attesa che arrivi la gabbia della messa in stato d'accusa, è un incapace pericoloso.