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04 gen 2019

Il Calcio e le tifoserie violente

di Luciano Caveri

Capisco di essere del tutto controcorrente e direi che si tratta di una scelta venuta da sola. Per cui non è snobismo o scelta affettata di tipo élitario, ma di un percorso che si è interrotto per una sommatoria di ragioni. Da bambino seguivo il calcio perché era lo sport "nazionale" per eccellenza. Mio papà era juventino e lo ero anche io per ricopiatura. Ma - per capire che ero già anomalo - mi piaceva anche il Toro, squadra per cui teneva il mio amatissimo zio Ulrico, che era accorso dalla Valle d'Aosta a Superga per piangere la squadra distrutta dal noto incidente aereo nel maggio del 1949. Per cui io, giochicchiando senza speranza a pallone più per divertimento con gli amici che per ambizioni che non coltivavo, mi sono fatto la solita trafila: si sgambettava in oratorio e nel campo sportivo del paese, collezionavo gli album delle figurine "Panini", ascoltavo le voci di "Tutto il calcio minuto per minuto" e guardavo i volti dei telecronisti di "90esimo Minuto".

Niente di che: come milioni di altri bambini. Da ragazzo sono andato qualche volta allo stadio e mi esibivo nelle chiacchiere da bar sul campionato con chi sapevo essere più appassionato, compresi colleghi del mondo politico che cambiavano umore se la squadra del cuore perdeva le partite. Poi - crescendo - sono emerse in me alcune consapevolezze: era e resta un mondo pieno di traffici, che fossero il doping o il "calcio scommesse" (ora pure il "Totocalcio" è scomparso...), la mia impressione è che si trattasse e si tratti di un ambiente non così sportivo, pieno di combine e magagne, poco trasparente e dunque non meritevole di troppe attenzioni. Ho seguito il destino dei figli di qualche amico che aveva doti calcistiche e che sono finiti nel tritacarne di grandi squadre, che spesso perseguono lo scopo di formare campioni con un cinismo che non vedo, per fortuna, in altre attività dello sport giovanile. Certo "usa e getta" sui bambini non mi piacciono affatto, anche se sono bene che ci sono ragioni di business prevalenti. Come non mi piace aver visto eccessi di spinta di genitori e talvolta di allenatori anche con calciatori in erba, dimenticandosi che ad una certa età deve restare una componente di gioco e non di agonismo estremo. Ho sempre odiato il tifo organizzato in vere e proprie bande armate, che - ormai è dimostrato - fanno sistema con le squadre e ci sono infiltrazioni di estremisti politici e della criminalità organizzata. Sfiorato per motivi di impegno amministrativo questo mondo calcistico, ho peggiorato le cose, conoscendo personaggi - nei famosi ritiri estivi in Valle d'Aosta - che mi hanno ulteriormente raffreddato. Certi amici, come il grande Eddy Ottoz, mi hanno poi in modo efficace fatto capire come il mondo sportivo italiano fosse di fatto inquinato da questa stella polare italiana che è il Calcio, che - come tutti i fenomeni che sono anche di costume - aggiungono elementi nuovi, come il gap crescente fra grandi e piccole squadre e lo strapotere delle televisioni. Per non dire dei vergognosi ingaggi dei campionissimi, che diventano milionari con la scusa che sono grandi veicoli pubblicitari, quando l'impressione è che anche nel mondo nuovo dei procuratori si nascondano storie losche che drogano il sistema. Questo vale anche per le attività di compravendita di calciatori giovanissimi extracomunitari. sapendo che le squadre professionistiche più passa il tempo e più reclutano "migranti" del pallone per via della liberalizzazione del mercato che depaupera la povera Nazionale di Calcio. Naturalmente questi stessi giocatori, se di colore, sono vittime di razzismo! Ecco perché - in un contesto già pieno di aspetti inquietanti - quando capitano fatti di sangue fuori dagli stadi come avvenuto in queste ore penso che ci vorrebbero misure ben più drastiche dei "daspo" o di ricopiature dei modelli inglesi tipo "steward", che sono serviti - come i biglietti nominativi - ma la violenza collettiva alberga ancora. Mi indigna che lo Stato sia obbligato ogni domenica a schierare le Forze dell'ordine, spesso in assetto antisommossa, perché tifosi abbruttiti vogliono menare gli avversari e mettere stadi e città a ferro e fuoco. La vera misura è punire, punire, punire a costo di sospendere i campionati e buttare via la chiave degli stadi, dove pure regna più ordine ma si sposta il problema nei dintorni con regole d'ingaggio da guerriglia fra tifoserie. Sarebbe poi bene che si smettesse di rimettere in circolazione, con comparsate televisive, personaggi squallidi e di fare pulizia in un ambiente pieno di ambiguità e guadagni troppo facili. Probabilmente è una pia illusione, visto che molti politici emergenti usano le tifoserie come massa elettorale. Anche il più idiota picchiatore e i suoi accoliti hanno, purtroppo, il diritto di voto.