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18 dic 2018

Strasburgo e il dramma del giornalista trentino

di Luciano Caveri

Chiunque non sia mai stato ai mercatini di Natale di Strasburgo sappia che è un posto magico, ospitato nel centro di questa città con una parte storica molto bella ed antica, in un posto sospeso - per ragioni geografiche che sono poi diventate culturali - fra la Francia e la Germania. In pochi altri luoghi si ritrova quel famoso spirito del Natale di dickensiana memoria fra luci, canti, profumi, simboli che rendono una passeggiata notturna un'esperienza sensoriale che ti permette di metterti in pace con il mondo. Esattamente quella pace negata per millenni e di cui sono tetra testimonianza i troppi cimiteri militari sorti nei dintorni della città. Cessata l'epoca delle guerre, Strasburgo è diventata un simbolo di pace, scelto non a caso, nell'ospitare le riunioni plenarie del Parlamento europeo, che è espressione di una pacificazione dopo le Guerre mondiali in cui si raggiunse il parossismo degli orrori sul Vecchio Continente.

Non a caso la grande Simone Veil, nella seduta di apertura del 1979 del Parlamento europeo finalmente elettivo, osservò - nel discorso di insediamento quale Presidente - a proposito: «Le défi de la paix, tout d'abord. Dans un monde où l'équilibre des forces a permis, jusqu'à présent, d'éviter le cataclysme suicidaire de conflits armés entre les superpuissances, on a vu se multiplier en revanche les affrontements locaux. La situation de paix qui a prévalu en Europe constitue un bien exceptionnel, mais aucun de nous ne saurait sous-estimer sa fragilité. Est-il besoin de souligner à quel point cette situation est nouvelle dans notre Europe dont les batailles fratricides et meurtrières ont constamment marqué l'Histoire?». Esiste fra questi due aspetti - il Natale celebrato in modo splendido e la presenza del Parlamento europeo - un momento di giunzione, rappresentato dall'ultima sessione dei lavori di dicembre, quando i parlamentari europei accorrono dai diversi Paesi membri nella Capitale alsaziana per finire l'attività annuale e partecipano non solo alle festività cittadine, ma si riuniscono anche in feste dei Gruppi parlamentari un clima di amicizia e fraternità che non ho mai ritrovato. Anche il più becero nazionalista ed il più ottuso antieuropeista avrebbe un coup de cœur in questi momenti di gioia fra colleghi e funzionari. Io ricordo nel Gruppo dei Liberaldemocratici di cui facevo parte il momento più bello, quando ogni rappresentanza per Paese presentava un numero nello spettacolo natalizio con grandi risate e convivialità. In particolare i parlamentari europei nordici trasferivano con grande profondità gli aspetti originali del loro Natale e lo stesso facevano i Paesi più mediterranei in una miscellanea che dava il senso delle plurime identità europee che, come in un mosaico, contribuiscono alla sola identità europea. Per questo l'attentato ai mercatini di Natale mi ha colpito ancora di più, perché conosco l'ambiente e il momento in cui è avvenuto e lo sfregio omicida assume valenze che fanno venire i brividi e preoccupano, dimostrando come gli islamisti - intrisi da una religiosità folle - intendano il dialogo in una solo modo: con la nostra morte e lo sradicamento del nostro modo di essere. Non posso non pensare e immedesimarmi in lui, pensando a quando ero un giovane cronista preso dal fuoco sacro della professione, ad Antonio Megalizzi, ventottenne giornalista di Trento, uno dei feriti dell'attentato ed ormai in coma irreversibile. Era a Strasburgo, dicendo sui "social" «che si era innamorato dell'Europa», per reportages radiofonici al Parlamento europeo, luogo accogliente per tantissimi giovani, in un quadro di stage e di incontri senza eguali. Rispetto al volto paludato della Camera dei deputati italiana, dove ho vissuto a lungo, Bruxelles e Strasburgo - nelle sedi parlamentari - sono luogo aperto ed ospitale e si respira un'aria di cosmopolitismo che commuove ed apre alla reciproca conoscenza, sempre con buona pace di chi sta sprofondando nel populismo e nel tribalismo. Sono certo che Antonio - lo dicono le colleghe che erano con lui - fosse felice di questa esperienza unica nel suo genere in quel momento in cui un imbecille assassino, invocando il suo Dio, gli ha sparato alla testa per uccidere nel nome della propria fede. Non ho parole di fronte alla cecità della Ragione e sarebbe bene - ricordando le parole di Simone Veil - riflettere sul fatto che, proprio in considerazione dei tanti nemici che premono sull'Europa, è ora di smetterla, per chi ci caschi, di inseguire le sirene antieuropeiste, perché è solo un modo stupido per farsi del male da soli. Non si tratta solo di una visione antistorica ma di un virus pestilenziale che rischia di farci tornare indietro a quel famoso "secolo breve", il Novecento che ha sortito cose terribili ma anche gemme di speranza. Osservava sul tema Denis de Rougemont: «L'Europa ha sì inventato la guerra totale, ma ha concepito il pacifismo e la condanna cristiana della guerra; ha creato il nazionalismo ma anche l'idea federalista; ha inventato l'individualismo anarchico ma anche lo spirito dei Comuni, i sindacati, le cooperative. Tutto dunque concorre a designarla come adatta a fomentare gli anticorpi capaci di immunizzare l'umanità contro quei virus che soltanto essa ha propagato».