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23 nov 2018

Il cibo come status symbol

di Luciano Caveri

Ogni tanto si rimescolano le carte nel mondo del giornalismo, inteso come diffusione professionale di notizie. La ripartizione classica fra ruolo dei giornali, della radio e della televisione è ormai sconvolta e le tecnologie legate al Web, con telefonini e tablet onnipresenti e possibilità on the road di cronisti per caso su avvenimenti d'attualità, mutano ulteriormente lo scenario. Cosa resta per i giornali, sempre in décalage come orario rispetto all'incalzare, sull'onda dei "social", dei fatti? Beh, intanto con le loro "App", che collegano ai siti, seguono ormai quanto avviene in tempo reale, ma soprattutto quel che resta solido è il ruolo, in cui la carta canta che sia fisica o digitale, degli editoriali e degli approfondimenti. Ci penso tutti i giorni, saltabeccando alla ricerca di spiegazioni di esperti, di riflessioni di chi ne sa di più, di punto di vista originali che ti aprano il cervello.

Un caso di scuola quello di oggi su un tema come mai di gran moda, quello del cibo, diventato una sorta di ossessione e per capirlo basta fare la spesa in un supermercato, guardare le trasmissioni televisive sulla cucina in tutte le salse, seguire le tendenze alimentari che diventano manie e ossessioni ("vegani", "gluten free", "crudisti" e mille altri), dare ascolto a molte paure sulla salubrità dei cibi che consumiamo che siano i prodotti chimici di trattamento o robaccia da allevamenti intensivi con antibiotici a manetta. Una rubrica di Federico Francesco Ferrero, già vincitore di "MasterChef" qualche anno fa, intitolata non a caso "DoctorChef", mi illumina su quanto avevo già osservato. Osserva lo chef, che è medico-nutrizionista: «Il nuovo status symbol è il cibo. Se ancora state pensando di fare le rate per l'auto nuova, per far schiattare d'invidia i vicini di casa, se davvero credete che invitare in barca a vela la biondina dell'ufficio legale vi possa dare una chance in più, se immaginate che qualcuno possa ancora badare al vostro abito sartoriale... siete nel passato. L'unico, contemporaneo, infallibile indicatore sociale è il cibo. Quello vero, sano, gustoso, di stagione. I pomodori biologici a quaranta euro nel reparto ortofrutta di "Fortnum & Mason" non sono solo un furto, vanno a ruba; le pizzerie che impastano con grano macinato a pietra lasciato riposare trenta ore hanno file d'attesa più lunghe della lievitazione; i pochi bistrot di Parigi che servono verdure palpitanti, di contadini che odiano la chimica, staccano conti da arresto cardiaco; ed i locali che mescono i miei amati vini naturali, da New York a Tokyo, in dieci anni hanno raddoppiato il prezzo medio a bottiglia, e si sono innaturalmente svuotati di giovani appassionati, per riempirsi di poco informati rampanti finanzieri azzimati e sessantenni piuttosto agiati. Il futuro è chiaro. I ricchi? Mangeranno cibi freschi, puliti, e favorevoli allo sviluppo intellettuale dei loro bambini. I poveri? Avranno nel piatto cibi grassi, insapori, potenzialmente pericolosi per la salute. Ma non si sentirà indigente chi rinuncerà alla berlina, alle vacanze al mare ed al televisore, per permettersi il contadino, il pescivendolo e la cantina. La morale: più ricco sarà chi nutrirà più il desiderio che la vanità». Esagerato? Fateci attenzione: basta badare alla comparazione dei prezzi dei prodotti per verificare scelte ormai "stellari" nei prezzi, al fatto per contro che cibi "spazzatura" sono quelli più economici che non fanno bene alla salute, alla capacità di certi produttori di esaltare il loro brand condendolo di mille storie che fanno crescere il prezzo allettando il consumatore. Il cibo o meglio il mercato diventa classista ma non lo dice.