Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
10 set 2018

Le frontiere materiali e mentali

di Luciano Caveri

Per la Valle d'Aosta l'irrigidimento delle frontiere - con il crescente venir meno della libera circolazione prevista progressivamente dall'"Accordo di Schengen" del 1985, prima per motivi di ordine pubblico di vario genere e poi per via dell'emergenza migranti - è un fatto negativo per una ragione molto semplice: se altrove - e mi riferisco ad esempio alle Alpi orientali ed ai vecchi confini con Paesi come l'ex Jugoslavia - la robustezza dei controlli aveva un senso fra sistemi politici contrapposti, da noi verso Francia e Svizzera ogni avvenuto allentamento aveva un significato storico ben diverso. Infatti, dal dopoguerra ad oggi, era caduto ogni problema dovuto al precedente Ventennio fascista e tutto portava a dire che, semmai, bisognava trovare modi per rendere sempre più facili i passaggi.

Per altro, cessati i tradizionali rapporti intervallivi attraverso i colli che caratterizzavano diverse vallate e principalmente - su più lunghe distanze - il Grande e il Piccolo San Bernardo, tutto si era modificato dagli anni Sessanta con i due tunnel stradali del Monte Bianco e del Gran San Bernardo, che avevano superato quell'handicap della mancanza di una ferrovia attraverso le Alpi, aprendo la Valle al resto d'Europa. In contemporanea, nel solco - questo il punto nodale - dei rapporti transalpini di un passato millenario, diversi strumenti, prima del "Consiglio d'Europa" e poi dell'Unione europea, avevano nuovamente riavviato rapporti politici ed economici fra zone viciniore con il vantaggio per i valdostani di poter adoperare il loro francese per questi contatti di prossimità. Ovvio che ogni rafforzamento di logiche nazionalistiche di chiusura può essere un rallentamento di questi rapporti naturali. Per questo la crisi dell'Europa attuale, accesa anche da logiche sovraniste e nazionaliste, deve preoccupare, perché rischia di riportare indietro le lancette dell'orologio e a porre territori come quello valdostano nella logica centralistica del cul-de-sac e non - come dovrebbe essere - di ponte naturale verso Nord e fra culture affini. In questo senso invito a riflettere proprio sul termine "frontiera" ed a cercarne gli elementi di stimolo e di apertura, piuttosto che quelli polizieschi o militareschi. Basta leggere con occhi diversi la "Treccani", partendo dal presupposto che dizionari ed enciclopedia sono da sempre un punto di riferimento anche in epoca di Web imperante: "frontièra, sostantivo femminile, dal provenzale antico "frontiera", francese antico "frontiere", derivato del latino "frons, frontis. fronte", linea di confine (o anche, spesso, "zona di confine", concepita come una stretta striscia di territorio che sta a ridosso del confine), soprattutto in quanto ufficialmente delimitata e riconosciuta, e dotata, in più casi, di opportuni sistemi difensivi: la difesa delle frontiere della nazione; fare la guardia alla frontiera; i paesi di frontiera, o situati lungo la frontiera, presso la frontiera; passare, varcare la frontiera; un incidente di frontiera. Nella storiografia americana, il termine (inglese "frontier") aveva assunto, già nel secolo 17°, un significato diverso da quello inglese originario, per indicare non più il confine come linea di demarcazione, ma una regione scarsamente e recentemente colonizzata (con particolare riferimento ai territorî del West), a diretto contatto con le terre non ancora colonizzate, punto di partenza quindi per l'espansione colonizzatrice; presso gli storici, la locuzione spirito di frontiera è stata adottata con significato anche più ampio, per simboleggiare il ritmo espansivo della storia europea e mondiale nell'età moderna. "Nuova frontiera", espressione usata da John Fitzgerald Kennedy nel discorso di accettazione della candidatura presidenziale del partito democratico, pronunciato a Los Angeles il 15 luglio 1960, in cui, parlando del programma che intendeva realizzare in caso di sua elezione, indicò una «nuova frontiera, la frontiera degli anni sessanta, delle occasioni e dei pericoli sconosciuti, delle speranze irrealizzate e delle minacce non messe in atto», intendendo con questo incitare i suoi concittadini ad affrontare le dure prove dell'avvenire con lo stesso coraggio e spirito di sacrificio con cui i pionieri, un secolo prima, si erano lanciati verso l'estrema "frontiera" del West. Linea che separa nettamente ambienti o situazioni o concezioni differenti, e che in alcuni casi è intesa come confine fisso, invalicabile, in altri come confine che può essere spostato e modificato, soprattutto in senso progressivo (con questi usi, il termine, adoperato per lo più al plurale, sostituisce, per suggestione del francese "frontière", altri termini più tradizionali, come "confine" o "limite"): le frontiere della scienza, i suoi limiti, o i limiti da essa finora raggiunti (e scienza di frontiera, le concezioni scientifiche più avanzate e capaci di ulteriore evoluzione); le nuove frontiere della biologia; con significato più generico: far avanzare le frontiere del sapere umano; amore, ideali che non conoscono frontiere". Dando per chiaro il primo significato, noi dobbiamo, invece, affrontare e cavalcare gli altri due significati: le frontiere con Francia e Svizzera vanno concepite con spirito di... frontiera non per ragioni ideologiche ma per capire meglio quali opportunità economiche e politiche ci siano da sviluppare. Ha ragione lo scrittore mitteleuropeo Claudio Magris quando scrive: «Io penso che le frontiere vadano superate, ma anche mantenute assieme alla propria identità. Un modo corretto di viverle è sentirsi anche dall'altra parte». E se si vuole essere ancora più ficcanti, in epoca in cui il mondo oscilla fra frontiere e mondi come Internet che viaggiano (tranne dove ci sono le dittature) in una sorta di libera prateria, vale quanto osserva Zygmunt Bauman che è stato in grado più di altri di cogliere con preveggenza l'aria dei tempi: «Le frontiere, materiali o mentali, di calce e mattoni o simboliche, sono a volte dei campi di battaglia, ma sono anche dei workshop creativi dell'arte del vivere insieme, dei terreni in cui vengono gettati e germogliano (consapevolmente o meno) i semi di forme future di umanità».