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10 set 2018

Ulisse, eroe senza tempo

di Luciano Caveri

Ero un bambino, cinquant'anni fa, quando la "Rai" propose in televisione - in quel panciuto apparecchio in bianco e nero che dominava la scena come unicum fra i mass media dell'epoca - lo sceneggiato "Odissea", sottotitolato "Le avventure di Ulisse". Era un bel prodotto televisivo a puntate che colpiva per i suoi effetti speciali (il Ciclope me l'ero pure sognato di notte!) e per la storia avventurosa che riproponeva con una certa fedeltà il suggestivo poema epico attribuito al poeta Omero. Ogni puntata era preceduta da un'introduzione in cui il poeta Giuseppe Ungaretti, con tono sofferto ed una fisicità da vecchio ieratico, leggeva alcuni versi del poema. Quando venne replicato - era il 1974 - facevo il Classico e ricordo che lo guardai con occhi diversi, perché paralleli alla scoperta per scritto di quei testi fondamentali della letteratura greca e mondiale.

Con il passare degli anni, queste figure antiche - così forti da spiccare a distanza diventando patrimonio fondativo della civiltà occidentale - finiscono per attraversare il tempo ed essere immagine moderna cui può rapportarsi ogni essere umano contemporaneo, a dimostrazione di come molto cambi con il passare dei secoli, ma i caratteri, i comportamenti, i pregi e i difetti restano scolpiti nel viaggio periglioso di Ulisse-Odisseo. Ha scritto, anni fa, la professoressa - autrice di saggi sulla storia grecoromana - Giulia Regoliosi sulla rivista "Zenetis" sulle caratteristiche di questo eroe omerico: «La prima, particolarmente importante perché gravida di sviluppi futuri, è la sua curiositas, il suo desiderio di conoscenza. Due volte, nell'episodio di Polifemo e in quello di Circe, Odisseo mette a repentaglio la sua persona e quella dei compagni per voler vedere troppo: ma non c'è in questo una concezione di sfida o di rischio consapevolmente portato all'eccesso. I due episodi, insieme coi consigli di Circe, arricchiranno la sua esperienza: non si ripeteranno. Quando le sirene lo tenteranno dicendogli "Noi conosciamo tutto ciò che succede sull'alma terra", Odisseo si sarà prudentemente cautelato dal rischio di cedere legandosi all'albero della nave: vuole ascoltare, mentre ai compagni si sono chiuse le orecchie, ma non allontanarsi in una via pericolosa, che lo svii dalla sua meta fondamentale, dal suo costante e netto desiderio: il ritorno in patria, che neppure l'offerta d'immortalità potrebbe sostituire. Tutte le altre azioni di eccesso, l'apertura dell'otre dei venti, la distruzione delle mandrie del Sole, sono compiute dai compagni. La seconda caratteristica, che gli viene rimproverata sia da Calipso sia da Atena, è la diffidenza, che lo porta a non fidarsi e a mentire su di sé anche quando non sarebbe strettamente necessario. Ma questa tortuosità della sua mente è un habitus o nasce da una dolorosa esperienza? L'episodio di Polifemo, che precede cronologicamente ogni altro accenno a tale caratteristica, è illuminante: inizialmente le risposte di Odisseo al Ciclope sono sincere; solo dopo che Polifemo ha rivelato la sua crudeltà e l'ha insultato dandogli dell'ingenuo, l'eroe ricorre agli inganni. L'esperienza lo renderà poi prudente: non a caso la parola "eidòs" ("esperto") ricorre sia nell'episodio in questione sia nel contesto del rimprovero d'Atena. Finalmente abbiamo da approfondire l'idea di "tlemosýne", "pazienza". Come emerge chiaramente soprattutto ad Itaca, quando Odisseo freme di fronte alla spudoratezza delle ancelle e s'impone di calmarsi, si tratta dell'attesa vigile e forte che la situazione cambi, che sia tempo di agire con fermezza e coraggio: l'esplicito ricordo dell'episodio di Polifemo chiarisce una volta di più come tale episodio sia per più versi chiave di lettura del personaggio». E' interessante, perché più adatto di qualunque manuale di comportamento (che spazia in un vasto campo dalla psicologia al coaching), come ci sia in queste figure esemplari della Storia antica questo elemento esemplare, pedagogico e di scuola di vita, formativa con tutta evidenza delle élites dell'epoca, ma rinvenibile - come dicevo - nelle caratteristiche indelebili che ci formano oggi come a suo tempo. In una sua conferenza, in parte pubblicata su "La Stampa", così osservava l'antichista Eva Cantarella: «Le virtù dell'eroe del mondo della vendetta erano la forza fisica e il coraggio, di cui l'eroe doveva dar prova in primo luogo in guerra. E nella vita comunitaria l'abilità di parola, percepita sin dall'inizio della storia greca come strumento di potere. Se era "buon parlatore", l'eroe riusciva a imporre la propria opinione. Ma nel nuovo mondo che andava profilandosi (e perché avesse compimento) erano necessarie altre virtù. Era necessario un nuovo modello di eroe, che avesse carattere e virtù diverse: il modello rappresentato da Ulisse. Un personaggio, a ben vedere, assai più complesso di quanto non si tenda abitualmente a pensare, e sotto alcuni aspetti (e non a caso) contraddittorio. Ulisse, infatti, da un canto possedeva tutte le qualità necessarie per essere un eroe nel mondo della vendetta, dall'altro possedeva qualità, virtù (e di conseguenza teneva comportamenti) nuovi e diversi. Non alludo qui alla sua proverbiale l'astuzia, la "metis". Ci interessano altre sue caratteristiche: la giustizia e la capacità di autodeterminarsi, di controllare emozioni e impulsi al punto da riuscire ad autocontrollarsi». C'entra con quanto avviene di questi tempi? Certo che c'entra: se pensiamo a come si diventa "eroi" oggi - sulla spinta di tecnologie che legano davvero il nostro mondo come una rete (Rete) - vien da pensare che le doti che maturano poco hanno a che fare con una modellistica nobile, che appare oggi distorta da fatti e circostanze. Troppo spesso non si affermano i buoni e i meritevoli, ma ci sono meccanismi che consentono ad atteggiamenti violenti, a semplificazioni rozze, all'ignoranza come elemento da sbandierare di far salire in scena e addirittura sul podio e sugli altari dei veri e propri antieroi. Forse una risposta gravida di speranza ce la pone proprio il poeta Ungaretti, pur non facendo un riferimento diretto ad Ulisse, ma è ovvio il riferimento a lui in questi versi speranzosi: «E subito riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare».