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28 ago 2018

Quei rischi in moto

di Luciano Caveri

Può piacere o meno, ma la verità è che la moto è pericolosa per dati oggettivi: basta guardare la casistica degli incidenti per avere una conferma scientifica e la cronaca nera, anche in quest'estate sulle strade valdostane, ha registrato storie dolorose di vite stroncate in un batter d'occhio, che servono per pensare. Certo non si tratta di demonizzare nulla, perché sono molte le altre cose rischiose nella vita, come ti spiegano gli appassionati delle "due ruote" ed hanno ragione. Nessuno capisce meglio l'antifona di chi frequenti la montagna ed in questi giorni sulle vette c'è stato uno stillicidio di morti. Ma non è la logica proibizionista - questo vale anche per la moto - che si risolvono le cose, semmai si tratta di ragionare su aspetti di formazione e di prevenzione, sapendo che l'imponderabile resta comunque in agguato.

Anche io, che conto alcuni amici persi sulla strada specie nell'epoca in cui stoltamente non si usava il casco «per avere il vento fra i capelli», ho avuto un brutto incidente quando ero ragazzo con la mia "Vespa" e sono fortunato a poterlo raccontare. La piccola ruota davanti era finita in un buco e il capitombolo seguente mi aveva portato a toccare appena il guard-rail, grande nemico di chi va in moto perché si rischia persino di essere decapitati. Mi si è gelato il sangue quando un mesetto fa mio figlio più grande, Laurent, mi ha telefonato per dirmi: «Sono caduto in moto!». Sono attimi in cui si rallenta il tempo e, pur preoccupato, hai un lampo che ti dice che se ti chiama lui è un buon segno, perché è vivo. Andato dritto in una curva, per ragioni non chiare con una moto troppo potente, si è rotto il malleolo ed appunto si pensa, a consolazione, perché un gesso non ti cambia la vita, che sarebbe potuto andare peggio. Per altro la moto, per sua scelta, è stata venduta e direi che - e ne sono lieto - si è chiuso un capitolo. Ma questa questione delle moto - so di averne già parlato - è un incubo in bella stagione sulle strade valdostane. Mi sono simpatici i gruppi di motociclisti: li osservavo sotto i castagni della località Castagneti di Issogne dove, in una festa popolare, si ritrovano per far bisboccia. Apparentemente ispidi e rudi, in realtà sono in gran parte, anche i più anziani fra loro, ragazzi senza tempo, simpaticamente legati ad una passione. Non sempre è così sulla strada e non voglio naturalmente generalizzare. Su tutto l'arco alpino - molto ad esempio si è discusso sui passi dolomitici - si è molto discusso su certi gruppi troppo spericolati, che scelgono i percorsi montani con le loro curve sinuose per sfogare i motori talvolta in lunghe file di appassionati, alcuni dei quali superano i livelli di pericolosità, specie con sorpassi azzardati. Questo capita purtroppo anche in Valle d'Aosta e ne sono testimone diretto con moto che mi hanno superato con il pilota in pose plastiche davvero al limite, o moto che si sono parate d'improvviso di fronte al muso della mia macchina. Spesso questo avviene in un'infantile logica di sciame: tutti assieme uno dietro l'altro appassionatamente, roba da bulli. Penso che sia bene su questo avviare qualche campagna dissuasiva, non solo a colpi di repressione facendo fioccare le multe, ma facendo capire che esistono rischi veri, che fanno il pari con ragazzotti che filano in certi rettilinei della Strada statale 26 o sulle autostrade a velocità da brivido, guardando il tachimetro alla ricerca di adrenalina, in cui basta un nonnulla per lasciarci le penne senza avere scampo. Comunque sia, la motocicletta resta un simbolo di libertà e su questo non ci piove. Pure di grande successo nello specchio, talvolta deformante della televisione: ho molti amici davvero ipnotizzati dalla "MotoGP", che mette emozione in queste disfide degne dal gusto delle giostre medioevali. In fondo la sostanza dell'umanità non muta molto se al posto di un cavallo e di una lancia per colpire metti una moto e la velocità come emozione.