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04 mag 2018

Senza autocritica

di Luciano Caveri

Seguo e compartecipo con curiosità - e con quella visione più fredda che deriva dal non essere candidato - a tutto ciò che ruota dietro al gran fermento generato dalle imminenti elezioni regionali valdostane. Si tratta - per la numerosità dei partecipanti e per la passione politica che la Valle ha sempre avuto - di un test interessante, che mostra come certe cose restino ed altre cambino in un moto perpetuo fatto di antico e di nuovo. Ci vorrebbe la penna di un Honoré de Balzac per raccontare quell'aspetto di "comédie humaine", di cui comincio ad avere - per aver seguito le gesta della politica locale da decenni come spettatore e protagonista - ricordi così vasti e un'aneddotica che mi consente di essere diventato, malgré moi, una sorta di "troubadour" con un vasto repertorio che mi capita di riversare a chi manifesti interesse. Commedia che talvolta sfocia in tragedia con la sue componenti drammatiche o diventa, all'opposto, simile ai "fescennini" del Latini, con quel pizzico di salace adatto ad una festa paesana in cui Odio e Amore strappano grasse risate.

Quel che trovo straordinario, quasi lunare, nella campagna elettorale ormai in pieno corso è che - di fronte alle preclare responsabilità di chi ha portato la Valle d'Aosta all'attuale situazione di sfascio e non ripeto qui l'intrico di crisi ben note - manca qualunque autocritica. Anzi, si assiste allo spettacolo grottesco di chi insiste sul fatto che, tolto qualche minuscolo problema, bisogna avere e anzi ridare fiducia nei confronti di chi è stato responsabile con nome, cognome, indirizzo con tanto di colpe morali ed in certi casi processuali in corso o in vista. Una visione fideistica che sfocia in una sorta di schizofrenia sulla base di una rappresentazione della realtà che davvero crea interrogativi seri su quale sia la soglia fra la bugia e la patologia. Eppure l'esercizio dell'autocritica sarebbe un fatto salutare e pure propedeutico alla limpidezza nei rapporti politici, perché - come dice il detto - "non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire" e lo stesso vale per chi tace sui propri errori (espansi talvolta in reati veri e proprio accertati o presunti), facendo finta di niente. Non mi piace, per carattere e anche per convinzione, giocare allo "sfascismo" e neppure adoperare strumenti da demagogo o da "capo popolo". Ma non può valere neanche una logica di tolleranza e peggio ancora voltare la faccia dall'altra parte verso chi pensa di passarla liscia, confidando che il "popolo bue" si faccia abbindolare. Ho detto più volte che il consenso popolare, frutto anche del doping del clientelismo, non è uno sbiancante che serve a cancellare le macchie indelebili sotto il profilo morale e giudiziario. In un libro letto quando ero ragazzo (Erich Fromm, "Avere o essere?") ritrovo questa frase: «Ormai non ci meravigliamo più di vedere uomini politici e dirigenti economici formulare decisioni che a prima vista sono a loro esclusivo vantaggio, ma che risultano insieme dannose e pericolose per la comunità. In effetti, se è vero che l'egoismo è uno dei pilastri dell'etica pratica del giorno d'oggi, perché costoro dovrebbero comportarsi diversamente?». Non bisogna assuefarsi, perché il meccanismo distruttivo della Politica sta proprio nell'abitudine al peggio, come un callo che si forma e resta, ma anche nel considerare "tutti uguali" con il paradosso che per alcuni chi parli di onestà personale ed etica pubblica finisce per essere quasi uno zimbello, perché "mosca bianca". Per altro la propria morale non dovrebbe essere una bandiera da inalberale ma la normalità di tutti i giorni, che non significa affatto essere infallibili, ma proprio accettare e ammettere i propri difetti. Esercizio sempre difficile e lo è anche per me e per questo l'impiego solitario del potere, inebriante adrenalina che può sfociare in tracotanza e affarismo, ha come unico antidoto l'equilibrio dei poteri della Democrazia. Ma prevede anche che l'esame di coscienza esista per le singole persone: chi non lo fa sfugge al peso delle responsabilità. Per cui è meglio non prendere sul serio coloro che si comportano così e manifestare timore per loro azioni, perché sbagliare è umano ma perseverare nell'errore è diabolico.