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04 mag 2018

Sono arancioni e si moltiplicano

di Luciano Caveri

Io lo sapevo! Avevo letto leggi, leggine e regolamenti e mi ero convinto, specie dopo che uno di questi aggeggi era stato messo lungo la circonvallazione di Verrès di fronte a casa di mia mamma e l'avevo scrutato a lungo, come si può fare con un robottino che sembra più un grosso aspirapolvere od a "R2-D2" di "Guerre Stellari", che un oggetto minaccioso. Eppure fioriscono come fiori di campo su tutte le strade valdostane e fossi un sindaco che li ha messi non dormirei sonni tranquilli, perché penso che un giorno qualcuno potrebbe chiedere il perché di questa spesa e cercherò di spiegarne le ragioni. Mi riferisco ai "totem" (verrebbe da dire «augh!», pensando agli indiani di Tex Willer...) arancioni - chiamati "Velo OK" - che dovrebbero funzionare come "autovelox" ed invece nella maggior parte dei casi non contengono nessun rilevatore di velocità.

Ma è non solo questo, perciò riferisco quanto ha scritto su "La Stampa" Nicola Pinna: "La spiegazione ufficiale è sempre la tanto sbandierata prevenzione. Ma la verità, a ben vedere, è un po' diversa. E anche stavolta nasconde il solito tentativo dei Comuni italiani di ingrassare le casse con le multe. Il metodo è quello dei finti autovelox: gli automobilisti non hanno il tempo di rendersene conto, ma ai lati di moltissime strade spuntano strani e colorati dispositivi. Totem di forma diversa che a prima vista assomigliano tanto ai classici misuratori di velocità. In realtà, c'è un inganno: la colonnina piazzata dai vigili urbani è una specie di spaventapasseri. All'interno, infatti, l'autovelox non c'è quasi mai e anche chi non rispetta i limiti non rischia la multa. All'apparenza è tutto regolare: c'è il cartello che segnala il misuratore e la colonnina colorata è ben visibile. Ma c'è un dettaglio: «Questi totem non sono omologati. Anzi - specificano dal dipartimento Trasporti del ministero delle Infrastrutture - non potranno mai essere omologati. Per una ragione semplice: non sono previsti dal Codice della strada»". Ci vorrebbe una musica da thrilling, come quando viene scoperto l'assassino alla fine di un libro giallo. Ma come? Trattasi dunque di un dissuasore tipo le sagome di cartone dei vigili urbani che ho visto da qualche parte? Quindi, se è così, il costo del bidone arancione sarà bassissimo?
Ma Pinna ci ricorda che siamo in Italia: "Della serie: non sono autorizzati, ma neppure vietati. «Le colonnine di questo genere possono essere utilizzate per il controllo della velocità a precise condizioni - spiega Domenico Protospataro, vicequestore della polizia stradale - All'interno deve essere piazzato un dispositivo che sia stato omologato e accanto al totem deve essere presente una pattuglia. In modo che ogni automobilista possa rendersi conto del fatto che è in corso un controllo. Non solo: è necessario essere sicuri che il contenitore non alteri la funzionalità del vero autovelox». Questo, insomma, è il grande equivoco: a rigor di legge, le colonnine svolgono, né più né meno, la stessa funzione di un cartello stradale che invita a ridurre la velocità. Con una differenza non secondaria: «Queste segnalazioni non rientrano tra quelle previste dalla legge - ribadiscono al Ministero delle Infrastrutture - Per questo motivo già più volte ne abbiamo sconsigliato l'utilizzo». Le note ufficiali del ministero sono due: la prima risale al 2014, in risposta a una richiesta di chiarimenti del sindaco di Torino, l'ultima è di febbraio scorso. Ma ai Comuni italiani continuano a piacere. E la spiegazione ufficiale, quella che danno tutti i sindaci, è sempre uguale: «L'obiettivo è indurre gli automobilisti a ridurre la velocità. D'altronde il totem risulta ben segnalato». Ma c'è il rovescio della medaglia: la segnalazione costante di un sistema di controllo che funziona solo di rado rischia di sortire l'effetto contrario. E cioè che nessuno si renda conto quando è attivo per davvero". Avevo letto, come dicevo, il "niet" del Ministero, ma evidentemente il dissuasore piace e l'azienda che li vende ("Globex Mvr Srl" di Perugia) dev'essere bravissima nella vendita, seconda forse alle "Case dell'acqua", dove molti vanno a prendere l'acqua che è la stessa che esce dal rubinetto con l'addizione di anidride carbonica per gassarla. Pinna ha letto le stesse cose che ho letto io, vale a dire la più recente direttiva del Ministro Marco Minniti e così la riassume mirabilmente: "Questa, dunque, sembra la perfetta contraddizione a tutto ciò che impone la famosa "Direttiva Minniti" sui controlli della velocità lungo le strade italiane. Il cuore della disposizione, d'altronde, era abbastanza chiaro: gli accertamenti devono essere svolti in modo che gli automobilisti siano informati. E non è un caso che a pagina 17 della direttiva si parli proprio dei finti autovelox: «La maggior parte delle postazioni è normalmente vuota. Ma affinché il sistema sia mantenuto credibile nella percezione degli utenti, e che resti inalterata nel tempo la sua efficacia deterrente, è necessario che le colonnine vengano utilizzate con sistematicità». Tradotto: piazzare i totem è consentito solo se vengono utilizzati per davvero e costantemente. Gli inganni nelle strade non sono consentite. Ma il ministero della Infrastrutture ha a cuore anche un altro problema: «Le colonnine - si legge nelle note - rischiano di provocare pericoli alla circolazione»". Posso testimoniare di auto davanti alla mia con frena brusca e rischio di tamponamento. Insomma una bocciatura vera e propria da parte dello Stato e i Comuni fanno spallucce. Intendiamoci: è giusto controllare le velocità e lo dice uno che ha appena ricevuto, dopo un giro in auto in Francia, qualche multa (a prezzi abbordabili e non con il terrorismo minaccioso italico) con amabili comunicazioni ben leggibili della République sui fatti, come da normativa europea cui diventa difficile sfuggire. C'è pure la possibilità in un minuto - con apposita "app" - di pagare la contravvenzione. Fantastico rispetto al caso italiano con verbali in burocratese, bollettini postali, fax e ricorsi al giudice di pace con sentenze multicolori nella logica di una giurisprudenza multicolore degna del vestito di Arlecchino.