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20 apr 2018

Candidati alle Regionali al via

di Luciano Caveri

Anzitutto, grazie a tutti! Credo che sia doveroso indirizzarsi così alle centinaia e centinaia di candidati per le elezioni regionali. La loro è una scelta di mettersi a disposizione per la comunità, e questo supera ogni altra cosa. In un periodo come questo, in cui la tendenza è il rifiuto, mettersi in gioco è positivo. Poi, per carità, ognuno terrà per la propria squadra e può osservare con compiacimento la propria e con maggior spirito critico quelle altrui. Ma esiste il rischio appunto di scadere nella tifoseria. Per dire: ci sono ideologie che non mi piacciono, perché hanno fallito ovunque, ma questa è storia diversa. Così come il vantaggio della comunità ristretta è vedere chi lo fa per una forte passione, chi per senso del dovere, chi perché vittima del "do ut des" (clientelismo). Ci sono quelli che concorrono dopo averlo fatto con altri, c'è chi aveva predicato il limite dei mandati e ora vorrebbe superarli in scioltezza, c'è chi lo fa per amicizia verso qualche politico.

E ancora: c'è chi non voleva in lizza inquisiti o condannati, sino a che lui stesso non si è trovato in queste medesime condizioni e fa finta di niente. Anche se "candidato" viene dalla veste bianca che indossavano i candidati nell'antica Roma, ma c'è chi ritiene l'esito elettorale vincente come un lavaggio in lavatrice che restituisce il biancore perduto, cancellando ogni macchia. Il "perdonismo" per oblio o perché "tanto-sono-tutti-uguali" fa il resto. Ho sentito persone lamentarsi di politici di grido di cui si dicono le peggior cose per poi scoprire che li hanno sempre votati con la foglia di fico di turarsi il naso... Un campionario vasto e complessivamente rispettabile e chi si presenta di fronte agli elettori spesso lo fa con certezze oppure con grandi aspettative, ma anche solo per senso civico e per spirito decoubertiano della serie che "l'importante è partecipare, non vincere". Lode a questi gregari che portano solo le borracce per i big delle urne. Per altro lo scrutinio centralizzato scelto in Valle con originalità, con schede e dunque voti meno controllabili nel giochino delle preferenze, bucano le gomme della bicicletta di chi usava certi doping come il voto di scambio. Sarà interessante vedere quale esito avrà e se - a regole nuove - i soliti cattivi scopriranno una salvifica contromisura per truccare le carte. Chi, come Luigi Einaudi, vide l'arrivo del suffragio universale con la democrazia dopo il fascismo, osservava alla luce di questa novità ormai radicata nelle democrazie liberali che amava: «Il suffragio popolare è un mito e su ciò credo che potremo essere tutti d'accordo; ma è un mito necessario ed il migliore che finora sia stato inventato». Sappiamo che è così, anche se duole constatare che molti manovrino l'arma potente della loro scheda elettorale senza una reale conoscenza e con troppa superficialità. Mentre la cittadinanza vale se radicata non solo in una logica partecipativa vera - in cui ognuno sappia bene cosa fa, scegliendo chi votare - ma anche avendo quel minimo di dimestichezza con le istituzioni democratiche ed il loro funzionamento che serve per capire e scegliere in modo cosciente e non seguendo il gregge come dei pecoroni. Lo stesso vale, per chi voglia farlo, per la scelta (in Valle d'Aosta ha riguardato alle ultime Legislative il 35 per cento circa degli elettori) di non votare o scegliere scheda nulla o bianca. A me questa rinuncia ad un voto, per quanto legittima, preoccupa perché gli spazi vuoti sono riempiti altrimenti, ma la Politica ha le sue colpe. Specie quando l'impressione è che - tra un'elezione e l'altra - la volontà espressa con il voto (ad Aosta come a Roma) non venga da alcuni rispettata, pronti a scegliere formule diverse da quelle proposte in campagna elettorale. Con svilimento della democrazia e rabbia di molti cittadini che abbandonano il campo. «Quando le elezioni diventano di fatto superflue (non hanno il potere di cambiare nulla, tutto essendo contrattato e stabilito in anticipo tra i Condottieri) ci vuol poco perché anche gli elettori arrivino a "sentirle" come non necessarie; e a quel punto non ci vuol molto perché qualche Supercondottiere decida realisticamente di sopprimere la finzione, tra il plauso generale». Così scrivevano Carlo Fruttero e Franco Lucentini nel 1985 nel loro già esemplificativo libro sin dal titolo "La prevalenza del cretino". Mi pare che questo timore, nel range fra autoritarismo e dittatura, resti un sempre valido ammonimento.