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09 apr 2018

Jovanotti e la nostra vita

di Luciano Caveri

Chi l'avrebbe mai detto che, per una combinazione (ho regalato due biglietti a mio figlio Laurent, che non ha potuto andarci), mi sarei ritrovato ieri sera al concerto di Lorenzo Jovanotti al "Pala Alpitour" di Torino. Eppure andarci è stato come salire su una macchina del tempo - del genere "Ritorno al futuro" - e farsi trasportare indietro negli anni sull'onda dei ricordi. Questo è avvenuto in mezzo a quindicimila persone con un insieme - suono, luci, scenografie ed uno sforzo fisico di Lorenzo sempre avanti indietro sul palco - di elevatissimo livello, come può essere una produzione importante, che non lascia nulla al caso. E si sa che mantenere una freschezza e un'immediatezza, ma con meccanismi in mano solidamente a professionisti, è la chiave del successo. La competenza conta sempre e penso che debba essere materia di insegnamento obbligatorio sin dalle scuole materne in un mondo nel quale tutti ormai ti spiegano cosa fare anche in materie di cui non sanno nulla.

Apro una parentesi: la Musica - uso la maiuscola per dare enfasi - ha questo effetto di evocazione, molto di più della "madeleine" di Proust, il biscottino usato dal celebre autore francese per stare la stura alla memoria legata al gusto - ha un potere evocatore del tutto straordinario. In più, l'evoluzione tecnologica offre motori di ricerca che ti consentono, in caso di necessità nostalgiche, di rinvenire in fretta quel brano di cui necessiti per alimentare i tuoi pensieri nel collegamento fra episodi di vita e quel "pezzo" che serve da miccia per riaccenderli. Intendiamoci: da consumatore di musica, che sia per radio o in altro modo, arranco nel non perdere il contatto con la realtà. Vorrei, nel limite del dovuto, evitare il solo "reducismo musicale", ma mantenermi informato sull'evoluzione e in parte lo devo fare per alcune mie periodiche incursioni radiofoniche. Ma la realtà è che, come tutti, dalla più tenera infanzia ho accumulato una teca musicale nella mia testa e posso ritrovarmi a canticchiare qualcosa che mi arriva chissà da quale neurone. Leggevo, tempo fa, su "La Stampa" questa dichiarazione: "«La musica è un sistema comunicativo non meno importante del linguaggio, ma solo nell'ultimo decennio è diventata oggetto di indagini neuroscientifiche con particolare attenzione al contributo che può dare all'approccio riabilitativo delle malattie neurologiche». Sul potere della musica non ha dubbi Giuliano Avanzini, primario emerito dell'Istituto Neurologico Carlo Besta a Milano, anche grazie alle nuove evidenze scientifiche: «La musica rappresenta un canale privilegiato di comunicazione e, infatti, è parte fondamentale dei riti che scandiscono la vita di quasi tutte le collettività umane. La sua origine evolutiva sta nella capacità di aggregare emotivamente gli individui, favorendo la condivisione delle esperienze»". Così io ho fatto con Jovanotti, che - per quanto più giovane di me di otto anni è da considerarsi assai vicino per l'effetto schiacciamento che rende più coetanei a mano a mano che si invecchia - ricordo come da disc jockey sbarbatello fosse diventato nel 1989 (la data l'ho controllata) un cantante o meglio un rapper, perché oltre alla "esse" sibilante (tecnicamente "sigmatismo") la scelta del recitativo più che del canto derivava dall'evidente propensione ad essere stonato. Eppure, quello che poteva essere un fuoco di paglia con qualche successo è via via diventato un testimone di questi ultimi trent'anni, sapendo onestamente raccontare - moderno cantastorie - vizi e virtù, tic e manie, gioie e dolori di tutti noi, toccandoci l'organo più importante, il cuore. E' apparso così a tutti un sincero cantore delle nostre gesta quotidiane, come ritratti in cui ciascuno ha potuto riconoscersi. Forse talvolta lo ha fatto con ingenuità, magari con qualche furberia, facendo leva su idee di pronta beva e ideologia prêt-à-porter, ma mi pare sia sincero nelle sue espressioni e credo che durare trent'anni sulla scena e riconfermare successi sia un esercizio difficile e dunque gli va dato atto di avere saputo interpretare questo suo ruolo, sempre con il sorriso e senza fare il guru, come molti suoi colleghi. E la serata è stata così: un concerto bello e aggregante. In un mondo di folle ostili, di grida disperate o meste, di odio elevato a modello di comportamento ecco finalmente un'oasi - pur chiassosa - di pace, in cui sentirsi vitale sulle note, cantare e ballare. Un toccasana che riconcilia con la vita, una sorta di colpo di bacchetta magica, quando la quotidianità è fatta di elevati decibel di rotture di scatole.