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04 apr 2018

Elogio dell'ozio e modernità

di Luciano Caveri

Mi è capitato di rileggere "L'elogio dell'ozio" di Bertrand Russell, un insieme di saggi interessanti ed il primo è proprio dedicato all'ozio, parola antica dall'origine incerta, che viene dal latino "ōtĭum, inattività, tempo libero". Scrive Russell con velata dose di ironia: «Come molti uomini della mia generazione, fui allevato secondo i precetti del proverbio che dice "l'ozio è il padre di tutti i vizi". Poiché ero un ragazzino assai virtuoso, credevo a tutto ciò che mi dicevano e fu così che la mia coscienza prese l'abitudine di costringermi a lavorare sodo fino ad oggi. Ma sebbene la mia coscienza abbia controllato le mie azioni, le mie opinioni subirono un processo rivoluzionario. Io penso che in questo mondo si lavori troppo, e che mali incalcolabili siano derivati dalla convinzione che il lavoro sia cosa santa e virtuosa; insomma, nei moderni paesi industriali bisogna predicare in modo ben diverso da come si è predicato sinora. Tutti conoscono la storiella di quel turista che a Napoli vide dodici mendicanti sdraiati al sole (ciò accadeva prima che Mussolini andasse al potere) e disse che avrebbe dato una lira al più pigro di loro. Undici balzarono in piedi vantando la loro pigrizia a gran voce, e naturalmente íl turista diede la lira al dodicesimo, giacché era un uomo che sapeva il fatto suo».

Dopo diversi ragionamenti, fra economia, morale e costume, Russell sbotta: «Bisogna ammettere che il saggio uso dell'ozio è un prodotto della civiltà e dell'educazione. Un uomo che ha lavorato per molte ore al giorno tutta la sua vita si annoia se all'improvviso non ha più nulla da fare. Ma, se non può disporre di una certa quantità di tempo libero, quello stesso uomo rimane tagliato fuori da molte delle cose migliori. Non c'è più ragione perché la gran massa della popolazione debba ora soffrire di questa privazione; soltanto un ascetismo idiota, e di solito succedaneo, ci induce a insistere nel lavorare molto quando non ve n'è più bisogno». Segue una vasta argomentazione sul perché bisognerebbe lavorare solo quattro ore al giorno, ma con un problema: «Bisogna però dire che, mentre un po' di tempo libero è piacevole, gli uomini non saprebbero come riempire le loro giornate se lavorassero soltanto quattro ore su ventiquattro. Questo problema, innegabile nel mondo moderno, rappresenta una condanna della nostra civiltà, giacché non si sarebbe mai presentato nelle epoche precedenti. Vi era anticamente una capacità di spensieratezza e di giocosità che è stata in buona misura soffocata dal culto dell'efficienza. L'uomo moderno pensa che tutto deve essere fatto in vista di qualcos'altro e non come fine a se stesso». Parte della conclusione è questa: «Soprattutto ci sarebbe nel mondo molta gioia di vivere invece di nervi a pezzi, stanchezza e dispepsia. Il lavoro richiesto a ciascuno sarebbe sufficiente per farci apprezzare il tempo libero, e non tanto pesante da esaurirci. E non essendo esausti, non ci limiteremmo a svaghi passivi e vacui. Almeno l'uno per cento della popolazione dedicherebbe il tempo non impegnato nel lavoro professionale a ricerche di utilità pubblica e, giacché tali ricerche sarebbero disinteressate, nessun freno verrebbe posto alla originalità delle idee. Ma i vantaggi di chi dispone di molto tempo libero possono risultare evidenti anche in casi meno eccezionali. Uomini e donne di media levatura, avendo l'opportunità di condurre una vita più felice, diverrebbero più cortesi, meno esigenti e meno inclini a considerare gli altri con sospetto. La smania di far la guerra si estinguerebbe in parte per questa ragione, e in parte perché un conflitto implicherebbe un aumento di duro lavoro per tutti. Il buon carattere è, di tutte le qualità morali, quella di cui il mondo ha più bisogno, e il buon carattere è il risultato della pace e della sicurezza, non di una vita di dura lotta. I moderni metodi di produzione hanno reso possibile la pace e la sicurezza per tutti; noi abbiamo invece preferito far lavorare troppo molte persone lasciandone morire di fame altre. Perciò abbiamo continuato a sprecare tanta energia quanta ne era necessaria prima dell'invenzione delle macchine; in ciò siamo stati idioti, ma non c'è ragione per continuare ad esserlo». Dagli anni Trenta, epoca cui risale lo scritto, il mondo è molto cambiato e le innovazioni tecnologiche accumulate e in gestazione stupirebbero persino un animo visionario come Russell con qualche tournant dai risvolti inquietanti tipo l'intelligenza artificiale e la robotica. Resta il fatto che la vita quotidiana ci istruisce sul fatto che questa riscoperta dell'ozio come spazio vitale resta un problema serio con le nuove tecnologie del Web che influiscono in profondità sul nostro lavoro e sulle attività varie della vita quotidiana, visto che ci inseguono ad ogni ora e spesso senza pause con mail, messaggi, agende elettroniche e mille altre diavolerie. Dovrebbero aiutarci a vivere meglio e invece esiste il rischio che peggiorino sempre di più i nostri spazi di libertà: chissà cosa ne direbbe il filosofo e matematico Russell. Forse lancerebbe un solo grido: «Spegnete quegli aggeggi!».