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16 feb 2018

Cortei e insulti

di Luciano Caveri

Anche io ho fatto dei cortei. Ne ricordo ai tempi della scuola, quando si facevano le occupazioni del Liceo e in fondo l'autogestione era una specie di pretesto per alcuni per provare l'abbecedario della politica. Gli slogan erano i soliti e poi in parte eravamo eterodiretti. Cito sempre quando si gridavano slogan contro l'Iran dello Scià di Persia in favore di un tipo come Khomeini con quella "rivoluzione" islamica che ha fatto passare quel Paese dalla padella alla brace. Oppure le periodiche proteste per le riforme scolastiche, di cui studiavamo faticosamente i contenuti considerandoli antidemocratici, pur non avendo alcun rudimento di Diritto. Poi di cortei e manifestazioni ne ho visti a bizzeffe a Roma e anche, un po' meno, a Bruxelles e Strasburgo.

Davanti a Montecitorio o Palazzo Chigi pareva essere il luogo ideale di una sorta di "manifestificio": uscivano dalle piazze alcuni gruppi con cartelli e megafoni e ne entravano altri. Spesso, conoscendo gli argomenti oggetto di urla e slogan, si capiva con chiarezza che la mobilitazione di fronte ai Palazzi del Potere non era altro che un'esibizione muscolare, che celava in realtà - da parte degli organizzatori - la proposta di una sorta di valvola di sfogo per chi partecipava. Andiamo a Roma, cavalchiamo una protesta, insultiamo i politici di turno e si torna a casa con il cuore più leggero e la voce rauca. Confesso di aver partecipato ad un corteo nella Capitale, pure bello nel suo insieme, in favore delle politiche per la montagna con mio comizio ai Fori imperiali, per cui chi è senza peccato... Davanti alle sedi europee ho visto robe più serie: agricoltori con i loro trattori che bloccavano la città e portuali arrabbiati neri che sfilavano tipo falange macedone. Ma la sostanza rimaneva la stessa: manifestazioni di sfogo, che certo fanno parte dell'armamentario della democrazia, ma hanno un valore simbolico mai risolutivo. Intendiamoci: non mi permetto né sottostima né sberleffo del loro aspetto umano e sociale, che consente aggregazione e senso di appartenenza, ma farne una questione capitale appare ridicolo. Ci pensavo rispetto ai tira e molla degli opposti cortei a Macerata, causati da due fatti di cronaca: un fascista senza cervello che spara a migranti in risposta ad una ragazza uccisa e fatta a pezzi da tre nigeriani. Per cui in strada si affrontano due mondi contrapposti, ma la sostanza rimane la stessa - senza dialogo possibile - anche alla fine delle manifestazioni, comunque la di pensi ed io naturalmente milito contro ogni forma di rigurgito fascista che mi fa orrore e che dimostra come l'ignoranza sia la mala pianta della democrazia. Condanno anche e sempre di più la politica dell'insulto che, in parallelo, avvelena la politica. Non conta dire come la si pensi su determinati argomenti, ma il gioco - non sul filo dell'ironia che ci sta sempre - è il disprezzo dell'avversario. Sembra impossibile presentare i propri programmi, la propria visione del mondo se non condita dal dileggio e dal disprezzo per i competitor. Andate a qualche comizio, in cui ormai ci si indirizza solo ad aficionados presenti in sala perché i cittadini curiosi per scegliere latitano, e vedrete che si imita il peggio dei toni da dibattito televisivo, ma senza avere l'avversario presente. Poi ci si lamenta del fossato sempre più largo con la vasta platea di astensionisti che rifuggono la politica come se fosse la peste. Questo fenomeno dilagherà alle prossime elezioni molto più del voto a chi persiste a fare cortei e usa la "melma" (sarebbe altro...) come l'elemento essenziale della propaganda politica. Poi tutti si preoccuperanno di questa fuga dalle urne, che non danneggia solo gli uni e gli altri, ma avvelena quel principio essenziale che è il voto. Quel suffragio universale che rischia di diventare patrimonio di pochi e quelli decideranno per tutti. Partecipazione alle urne che oltretutto dovrebbe essere sostanziata da quel minimo di conoscenze di base che possano far compiere scelte consapevoli e si nota sempre di più una sorta di nebbia rispetto ai temi istituzionali. In questi giorni mi capita, rispetto al collegio uninominale con cui in Valle d'Aosta si vota alle Politiche, di dover fare l'irritante maestrino con chi non ne conosce neppure il più elementare funzionamento. Posso sottoscrivere l'affermazione che l'ignoranza di certi meccanismi democratici peggiora di elezione in elezione e troppi diventano vittime del "sentito dire" e soggetti ideali per essere turlupinati.