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02 feb 2018

L'uso ambiguo di "società civile"

di Luciano Caveri

Mi intristisce - leggendo le liste dei candidati in Italia per le imminenti elezioni politiche - come si usino certi escamotage per far fuori personalità politiche eminenti in Parlamento, nel nome fasullo del nuovo e non, più semplicemente, della "realpolitik", che non dovrebbe avere bisogno di alibi dietro cui nascondere le proprie intenzioni. Basta vedere la "legge di Renzi", che preferisce fedelissimi come candidati da eleggere con la legge elettorale dei "nominati" ed umilia le minoranze interne, a costo di indirizzarsi sempre di più verso il partito personalista. Aggiungo - meglio precisarlo in premessa a scanso di equivoci - come il rinnovamento sia del tutto essenziale. Ero presidente della Regione, quando venne approvata quella parte di legge regionale che prevede un limite di mandati nell'Esecutivo e questo è un meccanismo intelligente per assicurare il cambiamento più di molte chiacchiere. Ma penso sempre di più che nuovo e vecchio debbano andare a braccetto. Veniamo ora al punto: mi sfugge davvero come si possa, nei nostri tempi, aver banalizzato e persino ridicolizzato il concetto di "società civile".

Chi abbia avuto la fortuna di studiare questa definizione fondamentale per la costruzione degli ordinamenti politici attuali, ci ricorda - c'è in merito un bel libro riassuntivo di Norberto Bobbio - come il tema attraversi i secoli sia stato assai dibattuto da personalità eminenti: da Thomas Hobbes a John Locke, da Jean-Jacques Rousseau ad Adam Ferguson, da Friedrich Hegel a Karl Marx. Ma questi sono ormai classici polverosi, meglio oggi la scorciatoia del nuovismo, fatto di concetti poco elaborati e facilmente trasformabili in slogan convincenti, essendo in fondo la cultura stessa un cascame che deve lasciar posto a concetti di pronta beva. Siamo tutti uguali, perbacco, per cui chi dia sfoggio di qualche conoscenza è un inguaribile snob da cui guardarsi. Così in Italia, in una sua versione singolare, questa storia complessa e difficile della "società civile" è diventata dagli anni Ottanta e poi soprattutto dopo "Tangentopoli", all'inizio degli anni Novanta, una moneta molto più semplice da spendere. Io stesso - poco più di trent'anni fa - per il mio ingresso in politica a ventotto anni con un balzo dal giornalismo alla Camera dei deputati - potevo essere annoverato come elemento nuovo rispetto ai politici tradizionali della tanto vituperata partitocrazia. Oggi sono un vecchio trombone, considerato non per quel che ha fatto o potrebbe fare. Conta poco il lavoro svolto, gli incarichi ricoperti, il bagaglio di quanto acquisito, le reti di rapporti. Alla porta bussa la "società civile" e bisogna, in caso di elezioni, cercare qualcuno cui far cominciare il percorso senza lasciare pezzi di radice che leghino al pregresso. Già perché in Italia da allora sino ad oggi, in un crescente odio verso la "casta" e con il populismo anti-parlamentare, "società civile" è diventato come il prezzemolo ad indicare in positivo tutto ciò e anche chi - il nuovo che spacca - non fa parte del brutto e sporco mondo della politica. Il messaggio che attraverso l'uso che si fa di questo termine si vorrebbe far passare, in una logica di bianco e nero, senza sfumature, è che nella società italiana esisterebbe un insieme formato da persone in possesso di qualità positive, in opposizione ad un altro insieme (il termine "civile" ha in "barbaro" il suo contrario), formato da persone che sono «il male». I "buoni" devono sostituire i "cattivi" e non c'è neanche bisogno di confrontare i curricula: la "società civile" vince sulla vecchia politica senza alcun distinguo. La "società civile" diventa così in molte occasioni null'altro che uno strumento come la ghigliottina per tagliare le teste in modo rozzo con processi sommari per far posto a persone considerate più degne, prescindendo spesso da esperienze e conoscenze, come se la scienza infusa derivasse paradossalmente da non essersi mai occupati di politica, ma semmai da ruoli in associazionismo, cooperazione, volontariato, libere professioni. Attività - in verità da sempre vicinissime alla politica - ma che profumano di "buono" nel breviario del "politicamente corretto". Poi, beninteso, chi entra oggi in politica tra qualche annetto diventerà sporco e contaminato: si rassegni già in partenza, perché la ruota gira nel paradosso delle paratie stagne del luogo comune. Chi ha nel tempo incarnato ruoli politici elettivi importanti non è giudicabile, perché - per fortuna solo per alcuni - un diavolo rispetto all'angelo della "società civile". Nulla può convincere chi sia convinto del contrario o lo usi strumentalmente e dunque meglio rassegnarsi e non infilarsi in storie come la meritocrazia e la competenza. Quella serve per i comizi, non per la realtà.