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17 gen 2018

La campagna #aboliamoqualcosa

di Luciano Caveri

Mi ha molto divertito la campagna #aboliamoqualcosa, lanciata sui "social" dopo l'affermarsi - nella campagna elettorale delle Politiche già calda ma destinata a diventare incandescente - di una tendenza non nuovissima, ma lo è per la risonanza data al fenomeno. Mi spiego: più che dire, nei rispettivi programmi, quanto si intende fare in proprio, presentando ai cittadini elettori il da farsi, la logica che pare affermarsi in Italia è quella di annunciare lo smantellamento di quanto fatto dagli altri, che sia la "riforma Fornero" sulle pensioni, il "Jobs act" sul lavoro, l'obbligo vaccinale e via di questo passo. Il tutto - lo dico incidentalmente - avvolto da quelle rete fittissima nota come "par condicio", che rende la comunicazione politica quasi impossibile, costringendo l'informazione a ragionare con i misurini. Per altro va ricordato che, a parte i collegi uninominali, in Italia una buona parte degli eletti saranno predeterminati dalla posizione in cui saranno messi dai partiti nella parte proporzionale, e questo certo non incita alla partecipazione.

Ovviamente la gran parte dei naviganti sul Web l'ha buttata sul ridere nel dire che cosa intenderebbe abolire (forse lo ha fatto per non piangere, che è sempre meglio). Tipo: aboliamo i panzerotti al forno in favore di quelli fritti, aboliamo il congiuntivo per favorire chi - anche in politica - non lo usa, aboliamo i bambini che urlano al ristorante, aboliamo la ceretta (una volta sarebbe stata prerogativa solo al femminile...), aboliamo i cantieri che non si possono vedere da fuori perché rovinano i pensionati, aboliamo il «mi mandi una mail con tutto quello che ci siamo detti», aboliamo i reparti di maternità tanto ormai c'è la "Conad" (ci si riferisce allo spot con la donna che partorisce, penso per affezione, al supermercato). In effetti la lunga sequela di risposte all'appello abolizionista, accanto a argomenti seri da sottoscrivere, consente una sorta di "liberi tutti", che forse è una via salutare perché un buona risata è in grado - come dicevo - di seppellire le molte amarezze. Un antidoto contro troppi veleni che ci ammorbano e la politica non fa eccezione perché specchio della società di cui - ammesso tra l'altro che il voto e le sue indicazioni vengano rispettati - è espressione. Ho passato anni a discutere con persone che fremevano di rabbia contro la politica, per poi scoprire che non vedevano l'ora di entrarci in prima persona oppure che, al momento opportuno, si affidavano nel segreto dell'urna nuovamente a quegli stessi eletti che criticavano al bar. Venendo a noi - e cercando di mantenere il tono leggero, perché tanto quello pesante arriverà - segnalo che:

Sappia chi vuole nobilmente abolire il «Val d'Aosta», perché la definizione giusta è - da Costituzione - "Valle d'Aosta / Vallée d'Aoste" che emerge di peggio e sarà difficile abolire i correttori automatici con il tragico "Valle D'Aosta" con "d" maiuscola che si sta diffondendo come la peste; Nello stesso filone c'è da sperare che in linguaggio burocratico scompaia "RAVA" (che sarebbe l'acronimo di "Regione Autonoma Valle d'Aosta"), che fa venire i brividi e richiama inevitabilmente "fava", che non è molto elegante. Analoga abrogazione dovrebbe valere per «Mamma Regione»; Va avviata una campagna abolizionista degli strafalcioni sulla toponomastica valdostana: "Verrès" ha un accento e va rispettato, dire Quart come si scrive italianizzandolo non si può sentire, «Saint» - che vale per molti comuni - va pronunciato «Sen» e non «San», altrimenti vale davvero la pena di tornare al fascista "San Vincenzo della Fonte"; Visto che ormai la gran parte dei valdostani ha abolito l'uso delle autostrade locali per il loro costo spropositato, va abolita l'idea che per risolvere la questione basti scrivere lettere come a Babbo Natale o dimostrarsi sempre più indignati: la questione è politica e va affrontata sapendone la complessità; Suggerirei di abolire l'idea che in fondo chi non paga le imposte è un gran furbone, visto che con l'attuale riparto fiscale - pur impoverito da tagli cui non si riesce a far fronte - alla Valle d'Aosta restano i dieci decimi di quanto viene versato all'Erario e dunque chi non paga si comporta come Tafazzi; Dopo l'esperienza in parte da choc delle nevicate ultime venute, a seguire anni di scarse precipitazioni, va abolita l'idea che la Valle d'Aosta sia una regione alpina pronta a tutto: certi stupori stupiscono, esattamente come le buche nelle strade che porterebbero ad abolire le aziende che hanno proposto asfaltature che diventano tipo formaggio coi buchi; Andrebbero aboliti i pessimisti che rendono cupe certe giornate e radiati dall'umanità i «lei non sa chi sono io» e i terribili "complicatori affari semplici" che minano in profondità la comune convivenza, spesso portatori di modulistica (cartacea perché la digitalizzazione in Valle è ancora un doppione) con cui devi certificare che esisti; Ci sono espressioni - in cui io stesso casco - che vanno abolite nel loro uso comune: «les neiges d'antan» nella poesia di François Villon si riferiscono ad una nevicata di un anno prima, «si stava meglio quando si stava peggio» riporta ad una visione passatista, mentre è meglio guardare avanti, il motto «Bien faire et laissez dire», ascritto alla famiglia dei nobili Challant (per altro estinta nel 1837) andrebbe almeno accompagnato - al tempo dei "social" che rischiano di sbugiardarlo - con «Calomniez, calomniez, il en restera toujours quelque chose»; Una cosa da abolire sono gli "omissis" che si registrano sempre di più nella coscienza collettiva: non si tratta di essere "secchioni", categoria scolastica invisa anche nella vita, ma certo che avere qualche rudimento di geografia e storia valdostana in più non guasterebbe e certi "bug" impressionano; Oltre ad una certa età da abolire sono, oltre alle candeline che coprono la torta per la loro numerosità, le perdite di quel tempo, che dimostra - per ovvie ragioni - di essere sempre più prezioso e dunque è meglio risparmiarlo.