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08 gen 2018

Aree Protette Alpine e Democrazia

di Luciano Caveri

Sulla perimetrazione delle Alpi sembra di essere in un giorno di quelli nebbiosi in alta quota. Oggi persistono almeno tre ambiti possibili: quello della "Convenzione Alpina", quello derivante da "Spazio Alpino" e la recente "Eusalp", la "Strategia Alpina". Un cartografo ne uscirebbe pazzo da questa geografia variabile a seconda delle scelte fatte a tavolino: a me è sempre venuta voglia di dire quanto vada bene far dialogare zone di montagna con zone subalpine e quanto conti il rapporto fra Terre Alte ed alcune città strategiche per le Alpi, ma non si può far finta che i territori e i problemi annessi e connessi siano in qualche modo gli stessi. La montagna resta la montagna e le Alpi senza la montagna sarebbero niente altro che… la pianura.

Ci pensavo esistendo un problema in più, scorrendo un rapporto della "Convenzione alpina" intitolato "Sviluppare il potenziale delle aree Protette Alpine. Aree di vario genere", che fanno - l'ho sempre detto - più sistema, più lobby di ogni rapporto attualmente esistente fra i livelli democratici espressione delle popolazioni alpine. Scorrendo quanto agisce a livello italiano si appura che in area alpina - quella della "Convenzione" - agiscono quattro Parchi nazionali, diciotto riserve naturali statali, 37 Parchi regionali o interregionali, 84 riserve naturali regionali e 63 aree naturali protette. Naturalmente sono qui compresi i "Siti di interesse comunitario" e le "Zone di protezione speciale". Credo che nessun altro territorio conti una logica protezionistica così vasta, articolata e raramente coordinata se non su un punto rischiosissimo, ben visibile dagli esiti del lavoro di cui ho parlato. E cioè la grande capacità di drenare risorse europee, che non paiono però coerenti su di un punto: siamo sicuri che laddove la protezione agisce ci sia sempre il rispetto delle volontà delle popolazioni, espressa dagli eletti nelle istanze democratiche? Oppure esiste un sistema tecnocratico spesso avulso, se non ostile, rispetto ai legittimi rappresentanti del popolo? Se così fosse, aggiungo che il rischio più forte è un decisionismo dall'alto, che si impone come un capestro, senza realmente trattare con chi del territorio sa tutto, com'è il caso dei montanari, considerati meritevoli di protezione solo nella considerazione che sia abbia a che fare con dei minus habentes che, se lasciati liberi di decidere, non vedano l'ora di distruggere la Natura per intenti speculativi, e dunque in molti trattano i locali con una logica colonialistica o come dei cretini gozzuti. E' una storia antica, che risale ad un ambientalismo distorto e solo in parte raddrizzato. Caso di scuola: il ritorno del lupo, in mano ad alcuni Parchi, che trattano i montanari come rozzi che non capiscono nulla, fermi come sono al «lupo cattivo». Una semplificazione aberrante. Per cui urge qualche chiarimento per capire come nel milione e 604mila ettari di area alpina su cui vigono protezioni grandi e piccole. Non per amore di polemica ma per evitare che esista, anzi prosperi un potere alternativo e senza meccanismi decisionali riportabili alle elementari regole costituzionali. Non voglio fare di tutta un'erba un fascio, ma fenomeni di piante invasive ci sono, eccome! Richiamare i principi democratici vuol dire solo evitare situazioni paradossali, di cui i primi responsabili sono gli eletti locali, che troppo spesso accettano in modo silenzioso che altri - fuori dai veri circuiti istituzionali - decidano per loro.