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02 gen 2018

Terremoto sull'Appennino: le mancate risposte

di Luciano Caveri

All'indomani del terremoto sull'Appennino nell'agosto del 2016, cui seguirono altre scosse di forte intensità, quel che mi colpì fu il coro generale rassicurante della politica italiana con cui si promise, con solennità da "social", che la ricostruzione sarebbe stata un modello. Il ragionamento era più o meno questo: "facendo tesoro dei gravi errori del passato, lo Stato in primis avrebbe reagito con prontezza e si sarebbero mostrate efficacia ed efficienza". Personalmente auspicavo questo: «Ora il terremoto colpisce la parte del Centro dell'Appennino e così da oggi l'informazione accenderà i suoi fari su una realtà in crisi - come il paese più colpito dal sisma, Amatrice, il cui territorio culmina ai 2.458 metri del Monte Gorzano - fatta appunto di Comuni montani spopolati che rivivono con il breve ritorno estivo degli emigrati, dove le comunità sono agonizzanti anche perché i servizi pubblici essenziali se ne vanno e con essi anche i pochi giovani che avrebbero potuto scegliere di restare. Spente le luci, resterà la volontà di ricostruire, come oggi promette persino il premier Matteo Renzi, ma ciò - ammesso che non siano solo "promesse a caldo" - sarebbe inutile, anche qualora avvenisse davvero, senza reali politiche per la montagna».

Oggi possiamo dire che sono mancate le cose essenziali, altro che "politiche per la montagna appenninica"! Renzi adoperò quell'evento per la solita solfa del cambio di marcia, della rottamazione di vecchi metodi e della vecchia politica: un flop fin dalle prime battute e chi è venuto dopo di lui ha rassicurato le popolazioni in numerose occasioni, ma la realtà nuda e cruda resta drammatica. Il coraggioso reportage fatto di scritto e di immagini di Gabriella Cerami e Lucio Perotta su "HuffPost" è come un grido: «C'è la neve sui tetti e c'è il ghiaccio lungo le strade. Nelle zone terremotate è arrivato il secondo Natale dal sisma e tuttavia gli abitanti si sentono come precipitati in un villaggio estivo. Di quelli con casette leggere. Qui invece siamo a meno otto gradi e in certe contrade si arriverà nei prossimi giorni a meno quindici. "Hanno costruito le casette per il mare", dice Federica, della frazione di Sommati, a due passi da Amatrice. In questa parte d'Italia niente è rimasto in piedi: "A farci compagnia ci sono solo i topi, che mangiano i tubi delle caldaie. Quelli che non si sono congelati a causa del freddo". Nei paesi del centro Italia, distrutti dai terremoti del 24 agosto e del 30 ottobre 2016, le feste giungono in uno stato di emergenza che sembra non avere fine. La metà della casette, circa 1.800, deve ancora essere consegnata e così ci sono famiglie costrette a vivere in container o in albergo. "Gli altri anni desideravo tanto il Natale, quest'anno no", e la signora Pierina Paolini, 88 anni, nella sua fragile casetta di Accumuli, dove il riscaldamento spesso si blocca, scoppia in un pianto". Si prosegue con denunce serie e circostanziate di ritardi, errori e omissioni che mostrano un disastro in questioni essenziali che sono finite avvolte da reti burocratiche e scelte dubbie, che rendono la vita impossibile e la rinascita un sogno irrealizzabile. A me viene in mente la terribile alluvione valdostana del 2000, quando molte zone della Valle vennero sconvolte dalle conseguenze di piogge straordinarie. Ebbene la ricostruzione avvenne principalmente con risorse proprie, che oggi non avremmo a disposizione con un bilancio regionale impoverito. Allora per noi, così come per le altre Regioni a forte rischio idrogeologico e noi siamo in testa perché tutti i nostri Comuni hanno zone pericolose, lo Stato assicurò - sulla base di un piano articolato - che sarebbero arrivati finanziamenti cospicui per la prevenzione, che è la sola risposta per evitare possibili drammi. Anche in quel caso promesse non mantenute, come è tristemente avvenuto sull'Appennino.