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23 dic 2017

La salma di Vittorio Emanuele III non cambia la Storia

di Luciano Caveri

La notizia è nota: ieri la salma di Vittorio Emanuele III - Re d'Italia dal 1900 al 1946 - è arrivata all'aeroporto di Levaldigi da Alessandria d'Egitto, dov'era stato sepolto nel 1947, a bordo di un volo di Stato (sic!) ed è stata trasferita al Santuario di Vicoforte, dove già era stato traslato dalla Francia il corpo della moglie, la Regina Elena. Si chiude così un'operazione rimasta piuttosto segreta e non si capisce bene da chi orchestrata, ma certo tutto è avvenuto con il placet del Quirinale (e del Vaticano), ma visto che è il rientro è stato oggetto di polemica fra i nipoti è chiaro che qualcuno in famiglia doveva saperne di più e altri di meno. Dimostrazione delle penose faide che dividono quel che resta di "Casa Savoia", pur non più regnante da oltre settant'anni.

Diceva, infatti, poche ore fa Maria Gabriella, che ho avuto occasione di conoscere molti anni fa: «Confido che il ritorno in Patria della Salma di Elena di Savoia, la Regina amata dagli Italiani, concorra alla composizione della memoria nazionale nel settantesimo della morte di Vittorio Emanuele III (28 dicembre 1947) e nel Centenario della Grande Guerra». Insomma, tutto calcolato. Aveva risposto a distanza il fratello Vittorio Emanuele, personaggio discutibile e potenziale Re, se gli italiani non avessero per tempo scelto la Repubblica, criticando la sorella, di aver «appreso, insieme ai membri della mia Casa, con stupore, delle dichiarazioni di mia sorella, la Principessa Maria Gabriella, inerenti la traslazione al Santuario di Vicoforte ed a nostra insaputa della salma di mia nonna, la Regina Elena». «Non posso non rammaricarmi - ha aggiunto - che tutto ciò sia avvenuto in gran segreto, senza concedere alla Regina d'Italia, Sovrana della Carità Benefica, gli onori dovuti e soprattutto la traslazione al Pantheon di Roma, come abbiamo sempre richiesto e prima di me mio Padre, il Re Umberto II. Riportare la salma della regina in totale anonimato e in segretezza è un insulto». Leggo su "targatocn" la nota della diocesi di Mondovì, che illumina la scena - forza dell'editoria locale - molto più di altre dichiarazioni: "Venerdì 15 dicembre, nel tardo pomeriggio, è giunta al Santuario di Vicoforte la salma della Regina Elena di Savoia, al termine della traslazione dal cimitero di Montpellier dove era sepolta dalla morte, avvenuta nella città francese il 28 novembre 1952. Le spoglie sono state collocate all'interno della basilica, nella cappella di San Bernardo, conosciuta anche come mausoleo del duca, in quanto lì è sepolto appunto il duca Carlo Emanuele I, che sostenne in misura determinante l'inizio della costruzione del Santuario dal 1596 ai primi anni del Seicento". Nelle righe successive, vengono rese note le origini dell'"iniziativa di rientro delle spoglie della stessa regina Elena e del re Vittorio Emanuele III (sepolto ad Alessandria d'Egitto), presa dai familiari di casa Savoia. Essa risale come prima istanza al 2011, reiterata nel 2013, con la dichiarata disponibilità del vescovo monsignor Luciano Pacomio a che l'evento potesse compiersi". Si aggiunge che "la collocazione delle spoglie della Regina nel loculo predisposto nei mesi scorsi - con tutte le autorizzazioni del caso - nella cappella di San Bernardo è avvenuta in un contesto di riserbo e sobrietà, con la preghiera (a cura del rettore don Meo Bessone) prevista dal rito delle esequie, per la deposizione nel sepolcro. Nella stessa cappella, accanto al loculo che ospita la regina Elena, è stato anche ricavato quello che accoglierà la salma di Re Vittorio Emanuele III". Qualche appunto su avvenuto in queste ore. Ovvio che il Santuario, come il Pantheon a Roma e l'Abbazia di Hautecombe, sarà oggetto di visita dei pochi nostalgici dei Savoia, alcuni dei quali - c'è anche qualche valdostano - sperano nel ritorno della Corona. Ricordiamo che dopo il papà vivente l'erede al trono "virtuale" sarebbe il personaggio televisivo Emanuele Filiberto. Tanto per far capire lo stato di decadenza della dinastia. Ieri ad intervistare il "Principe" (così apostrofato!) e stato il "Corriere della Sera" ed Emanuele Filiberto era riuscito a dire la baggianata che la salma del bisnonno si trovava già in Italia, giunta via nave... Manca in Valle d'Aosta qualcuno che abbia descritto in modo specifico degli alti e bassi del rapporto più propriamente politico sviluppatosi nei secoli fra la comunità valdostana con i Savoia nella loro progressiva e in parte casuale ascesa a Re d'Italia. Certo è che i destini valdostani seguirono questa loro parabola fatta di alti e bassi e sino al "no" alla Monarchia nel referendum del 1946. Fu un voto-giudizio proprio in particolare sulle ambiguità, le indecisioni e le paure di Vittorio Emanuele III, che non mosse un dito a difesa del particolarismo valdostano - che pure di sicuro conosceva bene - in epoca fascista. Quel fascismo che avrebbe potuto bloccare e non agevolare come avvenne in scelte terribili come la mollezza sulla "marcia su Roma", la passività verso Benito Mussolini e la sua dittatura, i silenzi sull'alleanza coi nazisti o l'onta delle leggi razziali, dimostrando che la Monarchia era ormai un soprammobile. Poi, a chiusura del suo regno, la famosa fuga così commentata da Indro Montanelli, che pure restò monarchico: «Il re si disonorò fuggendo a Pescara come un disertore qualsiasi, impedendo a suo figlio di restare a Roma alla testa dei suoi granatieri e magari di cadere in difesa della Capitale». Umberto di Savoia, come Luogotenente del Regno, firmò - ma fu una firma solo tecnica, in assenza cioè di un qualche ruolo o contributo politico - i decreti luogotenenziali che diedero la prima forma di autonomia del dopoguerra alla Valle d'Aosta e così si chiuse la storia millenaria dei rapporti con Casa Savoia. Le salme rientrate in Italia non fanno paura e non mutano il giudizio storico sul "Re Sciaboletta" (per via della sciabola forgiata per il suo metro e 53), complice e inerte. Per evitare che questo rientro possa essere letto come chissà quale revisionismo storico, visti ad esempio i rigurgiti neofascisti in atto, ha fatto bene il Presidente Sergio Mattarella a dire di no, con un evidente significato politico, ad un uso strumentale del Pantheon.