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20 dic 2017

Nazareth, Betlemme, Gerusalemme...

di Luciano Caveri

Sono andato a vedere nei giorni scorsi uno dei film di animazione natalizi con il piccolo di casa, che fra l'altro ha cominciato le lezioni di catechismo e dunque la lettura della trama sembrava capitare a fagiolo. Si tratta, infatti, de "Gli eroi del Natale" e narra la storia della natività dal punto di vista degli animali che posizioniamo tradizionalmente nel presepe accanto al bambin Gesù: l'asino, ma anche il bue, oltre alle pecore che si trovano nei paraggi, oltre alle new entry dei tre spassosi cammelli, mezzi di locomozione dei tre Re Magi. Un approccio animalista che non stupisce nei cartoni animati e ha radici antiche nella favolistica classica sino ad oggi con animali antropomorfi, che finiscono ormai per essere meglio di noi esseri umani.

Questo prodotto della "Sony pictures animation" non fa eccezione alla regola, prendendosi rispetto alla tradizione molte licenze poetiche, che in verità non turbano il racconto evangelico così come lo abbiamo ricostruito con un puzzle tratto da uno o dall'altro degli autori dei "Vangeli", aggiungendo poi nel tempo una serie di accessori posticci, di cui fanno parte per altro la datazione della nascita - il 25 dicembre - e la rappresentazione del Presepe in modo sempre più esteso con aggiunte periodiche di personaggi sino alle vette delle statuine napoletane che pescano in personaggi contemporanei. Ma ciò non muta la sostanza di cosa sia e che cosa rappresenti la nascita di Gesù. Semmai mi chiedo sempre alcune cose. Chissà quanti cristiani, anche praticanti, hanno esatta consapevolezza di dove si trovi Nazareth, città della Galilea - quindi nella parte nord del moderno Israele - di origine della famiglia di Gesù secondo il "Nuovo Testamento". Nel cartone già citato si vede la scena dell'Annunciazione, vale dire la spiegazione divina della prossima nascita a Maria da parte dell'arcangelo Gabriele. Tema delicato che nella pellicola viene trattato con garbo e con tenerezza. Nazareth, rappresentato nel passato come un piccolo villaggio, oggi conta 74mila abitanti ed è a larghissima maggioranza araba e dunque a prevalenza di religione musulmana. Ma la nascita - di cui il film racconta le vicissitudini che portano alla fine Gesù a nascere in una capanna - avvenne a Betlemme, oggi città situata nei territori palestinesi. Siamo cioè in quelle zone ben note alle cronache per la guerra vera e propria - con i suoi alti e bassi e le tante speranze di pace periodicamente sfumate - fra israeliani a palestinesi. Una città di 25mila abitanti, che vede ormai i cristiani in minoranza rispetto alla popolazione araba e certo, per essere un simbolo della cristianità, questo fa impressione e lo dico nell'evidente logica di rispetto per qualunque religione. Su "L'Espresso" è un uscito un bel reportage "A Betlemme non basta la natività" di Enrico Catassi ed Alfredo De Girolamo, che così inizia e non a caso: «Gerusalemme e Betlemme gemelle divise, Omega e Alpha del viaggio di Gesù. Dalla città del Santo Sepolcro alla porta d'ingresso della culla del cristianesimo sono pochi minuti in macchina. Prima di varcare il muro un ultimo semaforo, quando scatta il verde la sbarra si alza e le punte chiodate si reclinano. Lasciare Israele è una formalità. Dall'altro lato della barriera, in Palestina, i lavoratori transfrontalieri betlemmiti, una calca di operai, per lo più muratori, in coda dalle prime luci dell'alba, approcciano mestamente i controlli dell'apparato israeliano. E' il regime di sicurezza o segregazione. Check point e permessi per muoversi». Questo lo scenario drammatico che ci sprofonda in sostanza nelle contraddizioni umane e l'evocazione di Gerusalemme è ovvia, dopo la decisione di Donald Trump - assecondando una parte del suo elettorato - di annunciare, generando il caos, di spostare l'Ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, che pure è la Capitale di Israele, ma la scelta oggi equivale a gettare un cerino in un deposito di benzina. Ancora il già citato reportage, che trovate sul Web e consiglio vivamente: «Jehad Khair è il primo cittadino di Beit Sahour, da poco insediatosi nel municipio del luogo che la tradizione indica come il Campo dei Pastori. Mentre i pastori odierni sono tutti, o quasi, musulmani e per vederli con il loro bestiame basta recarsi al mercato mattutino nella vallata di Bab Al-Jbeh'ah street. Khair aveva ventun anni quando nel 2002 l'esercito con la stella di Davide cingeva in un lungo e drammatico assedio la Basilica della Natività, dove avevano trovato rifugio decine di miliziani palestinesi. "Le restrizioni spingono la gente a scappare. Lo spazio vitale dei betlemmiti si riduce metodicamente di fronte all'espansione degli insediamenti israeliani. Immaginate la terra dell'annuncio e della nascita di Cristo senza cristiani, sarebbe un cambiamento epocale". I cristiani betlemmiti sono l'ultimo esempio di "custodi depositari", ciò che rimane di una presenza millenaria, una comunità depauperata con l'inasprirsi del conflitto israelopalestinese». Penso alla scelta del Cardinale Carlo Maria Martini, personalità cattolica di grande rilievo e di raro spessore culturale, che scriveva così di Gerusalemme, dove scelse di vivere lasciata la sua Milano: «Contemplando il cielo stellato dal terrazzo della sede di Gerusalemme del Pontificio Istituto Biblico, ad un tratto ebbi con prepotenza questa percezione: io sono nato qui a Gerusalemme. Sperimentavo il salmo 87: là costui è nato» E ancora: «Nessuno sa che cosa può accadere a Gerusalemme, dove avvengono tante cose dolorose e strazianti. Paolo parla di tribolazioni, catene, ma c'è di peggio nella Gerusalemme di oggi: sangue, orrore, morte... Forse per questo lo Spirito ci spinge là».