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04 dic 2017

Il treno di Renzi

di Luciano Caveri

L'idea dell'anticipo di campagna elettorale di Matteo Renzi, fatta in treno in giro per l'Italia, è stata un'intuizione brillante. Così facendo si scaldano i residui simpatizzanti e non si rientra nelle norme draconiane di limiti di spesa che si prevedono nel periodo prima del voto. In più si trattava di rafforzare o meglio di cercare di risollevare l'immagine appannata del "giovane leader", che proprio un anno fa prendeva una randellata senza uguali con il referendum confermativo della modifica della Costituzione voluta dal Governo e votata ciecamente dalla maggioranza parlamentare messa assieme dal leader del Partito Democratico. Per fortuna questa sconfitta avvenne: la Costituzione voluta dalla coppia Renzi-Boschi aveva risvolti di un centralismo senza eguali ed era utile per una possibile svolta autoritaria. Chi votò "sì", come fece l'Union Valdôtaine, si assunse una responsabilità grave, bocciata dagli stessi valdostani, cui altri - me compreso - spiegarono che il salvataggio delle Speciali era solo una tattica, visto che la riforma senza il voto dei parlamentari autonomisti non sarebbe mai passata. Ma era già pronto, con la nuova Costituzione, il terreno per arrivare alla soppressione delle Autonomie differenziate con un Renzi senza più contrappesi - con un Parlamento prono - libero di fare sfracelli con il suo "giglio magico".

Ma gli italiani lo hanno bocciato e lui è rimasto, dopo aver annunciato di voler lasciare la politica in caso di sconfitta. Anzi, appare a dodici mesi alla sconfitta - e dopo aver perso pezzi più o meno grandi del suo partito - inspiegabilmente ringalluzzito. Il suo isolamento è pari alla sua presunzione di risorgere dalle proprie ceneri. Nel suo giro d'Italia, all'ultimo, ha fatto una puntatina in Valle d'Aosta ed e stato ricevuto in gran pompa e si sarà convinto che ci siano qui un sacco di "renziani", vista la deferenza dimostrata verso un capopartito come lui con tanto di presenza del presidente della Regione, Laurent Viérin, che ha suo tempo - con stupore di molti dell'Union Valdôtaine Progressiste - andò a votare alle primarie del PD proprio il giovin Matteo e poi votò contro la già citata riforma costituzionale con evidenti critiche all'allora Premier. Ma si vede che le cose cambiano o forse è stato solo garbo istituzionale, sperando magari in un aiutino per fare in modo che da Roma arrivino dalla Finanziaria quei soldi necessari per fare il Bilancio regionale. C'è da sperare che questo avvenga, anche se sarebbe stato bene già spuntare la cifra al Senato, che si è limitato ad un ordine del giorno, rinviando la questione alla Camera. Vedremo presto. Restano gli altri invitati valdostani da Renzi nella sua sosta con il "treno" a Nus (quanto sarà costato questo tour su rotaia?). Ho letto alcune cose e pare che Renzi, negando che si trattasse di un comizio vero e proprio ma di una fase di «ascolto», ha spiegato che si possono fare molte cose per il nostro futuro. Bravo come lui a promettere non c'è nessuno, e mi pare che nessuno - da buon ospite - abbia tentato un minimo di contraddittorio. Dimostrazione che siamo persone garbate e educate. Certo, se l'incontro non fosse stato ad inviti forse Renzi non avrebbe avuto un'impressione edulcorata di quel che si pensa davvero di lui nella nostra Valle ed il calo dei voti recenti sul segretario PD locale è una dimostrazione per chi abbia voglia di vedere la realtà. Ma si vede che questa è stata la scelta di questi viaggi in treno, in cui le proteste sono state contenute a debita distanza. Ha scritto Eugenio Scalfari, renziano in passato e ora rassegnato alla deriva del PD per via del suo segretario: «Una vera e operante classe dirigente c'è nel partito e nel governo: Veltroni, Franceschini, Minniti, Orlando, Calenda, Fassino, Delrio e molti altri. Ma Renzi non li riconosce come classe dirigente, talvolta si avvale dell'uno o dell'altro ma poi li mette in disparte, se ne dimentica, una classe dirigente mobilitata in permanenza, la disconosce. Questo è il vero guaio per l'Italia ed anche per l'Europa ma lui, Renzi, non sembra rendersene conto: il fascino di comandare da solo lo possiede, è il suo modo di pensare ed è anche un malanno per lui e per il partito da lui guidato». Ma lui continua imperterrito a macinare selfie e slogan, riuscendo nel capolavoro di un Berlusconi sulla porta di Palazzo Chigi.