Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
04 dic 2017

Quelle bufale delle fake news

di Luciano Caveri

Si torna a parlare delle "fake news": addirittura alla "Leopolda" renziana il tema è stato al centro dei dibattiti con la possibilità, poi sfumata, che il Partito Democratico si occupasse della materia con una legge vera e propria. Non è difficile capire il perché di questo interesse per la materia, almeno per due ragioni. La prima è che si è che si è passati da una fase "artigianale" delle notizie falsificate ad una progressione "scientifica" del loro uso, incidente anche in caso di voto, come avvenuto nel corso delle Presidenziali americane, della "Brexit" inglese di e altre analoghe situazioni recenti. Il timore è che questo possa avvenire anche per le Politiche in Italia e lo stesso Matteo Renzi ha segnalato - anche sulla base di un lavoro di un ex hacker, Andrea Stroppa - strane connessioni sul Web, come la storia di notizie dubbie e manipolate, che "Cinque Stelle" e la Lega avrebbero dato in una logica "concordata". Gli interessati hanno smentito queste ricostruzioni giornalistiche.

Di questo uso distorto del Web pare come uno dei massimi esperti, nel segnalarne anche i rischi, sia il ministro Marco Carrai, che un anno fa era in corsa per diventare capo di un'agenzia statale sulla cyber-security. Carrai, fedelissimo di Renzi e perno del suo entourage detto "giglio magico", vide sfumare quella nomina, ma resta un esperto di un settore delicatissimo, avendo fondato una società proprio nel settore della sicurezza informatica con importanti contatti nel mondo. Usiamo pure questo termine anglofono, anche se già in passato avevo citato Licia Corbolante nel suo interessante blog, quando dice: «Secondo me è un anglicismo superfluo: possiamo dire "notizie false" o "notizie inattendibili" oppure usare "bufala" che nell'accezione "notizia priva di fondamento" è una parola breve, molto precisa ed efficace. Perché allora si sta diffondendo "fake news" anche in italiano? Direi pigrizia o scarse competenze linguistiche di chi traduce dall'inglese, ma anche l'ossessione di evitare la ripetizione, tipica del media italiani, che spinge a usare gli anglicismi come sinonimi. Mi pare anche che sia intervenuto un meccanismo tipico dell'itanglese ed a "fake news" venga attribuito un significato più specifico, per ora assente in inglese: nell'uso italiano "fake news" sono le notizie false presenti esclusivamente online e fabbricate per essere condivise sui social media». «Fabbricate» è interessante, perché di questo, in sostanza si tratta. Fabbricare delle balle per un uso strumentale con l’evidente difficoltà di inseguire gli autori, visto che il Web è strumento sfuggente, perché planetario e dunque con Paesi con diverse legislazioni e tecnologicamente pieno di mezzi con cui ingannare i controllori in un’infinita guerra fra guardie e ladri. Non resta che l’educazione a distinguere per chi - mi riferisco a chi è in buona fede - non solo abbocca all'amo, ma diffonde lui stesso quanto falso. Al risveglio pensavo al mito della "Caverna di Platone": l'ho fatto perché nella mia stanza, che dà una strada, in certe condizioni e con le tende aperte si proiettano sul soffitto le luci delle auto. Potrebbe sembrare chissà che cosa - magari delle navicelle spaziali - in avvicinamento che ruotano nella stanza, ma io so che sono le auto. Ricordate Platone? In breve: ci sono degli uomini prigionieri in un antro oscuro, costretti a guardare solo le ombre proiettate sulla parete di fondo dalle cose reali e dagli uomini che passano davanti all'entrata, illuminati da dietro da un gran fuoco. I prigionieri non hanno altro che queste ombre e quelle voci per ragionare sulla realtà, e non hanno la minima idea di come siano fatte veramente le cose: così, legati alle apparenze, anche gli uomini si convincono che impressioni fugaci - ombre appunto come simulacro - siano il mondo. L'allegoria prosegue descrivendo un evento eccezionale: uno dei prigionieri, riuscito a liberarsi, getta lo sguardo fuori dalla caverna e vede il mondo reale, illuminato dal Sole; tornato a liberare i prigionieri delle ombre, non viene creduto e di conseguenza ucciso. Le "bufale" si combattono svelandole, dando gli strumenti di comprensione a chi rischia di caderci e certo anche perseguendo chi ne faccia un uso che configuri reati penali veri e propri, immaginando che sul tema si possono ottenere risultati solo con accordi internazionali che evitino "zone franche". Ha scritto, tempo fa, Marco Santambrogio, filosofo del linguaggio, sul "Sole-24ore" e ne cito un ampio passaggio: «Secondo Spinoza, è compito della democrazia "contenere gli uomini per quanto è possibile entro i limiti della ragione, affinché vivano nella concordia e nella pace". Acuto come sempre, Spinoza vede un nesso strettissimo tra democrazia, ragione e pace. Invece, è una tecnica collaudata degli autocrati quella di soffiare sul fuoco delle passioni - soprattutto passioni negative come odio, paura e indignazione. Niente di meglio di una guerra contro un nemico esterno o interno per salvare un trono. Dopo l'odio nazionalistico e razziale del Novecento, l'indignazione è oggi la passione più diffusa in politica, non solo in Italia. In Spagna ha dato nome a un intero movimento. Come mai? E' semplice. Noi non ci indigniamo per un torto o un'ingiustizia qualunque. Immaginate che Arsenio Lupin, ladro gentiluomo, vi rubi i gioielli dalla cassaforte. E' ingiusto e potete protestare, dispiacervi, arrabbiarvi. Ma sarebbe inappropriato indignarsi. Lupin è un ladro dichiarato, non c'è malafede da parte sua. Infatti l'indignazione presuppone sempre una particolare forma di disonestà: la malafede. Ci indigniamo solo con chi commette scientemente un'ingiustizia e fa finta di agire per alti ideali. A questo punto ci sentiamo in diritto di fargli qualsiasi cosa. A bandito, bandito e mezzo - come si suol dire. Per questo l'indignazione è così utile in politica: squalifica gli avversari e abbassa il livello dell’autocontrollo. Ci sono diversi modi per scatenare l'indignazione contro gli avversari politici. In "Numero zero", Umberto Eco ne ha illustrati alcuni, ma si tratta di metodi d'altri tempi, che cercavano di salvare le apparenze e si avventavano su avversari che avevano un nome e un cognome. Da allora si sono fatti grandi progressi. Oggi c'è gente che diffonde spudoratamente, non so se attraverso "Youtube", "Facebook", "Twitter" o "Instagram", la notizia che i vaccini sono pericolosi ("Sono fatti con plutonio, zinco, polifosfati!") e raccoglie mezzo milione di visualizzazioni. Altri scrivono che gli "immigrati" hanno festeggiato la strage di Manchester in un bar di Pioltello. Queste sono "fake news": notizie false diffuse allo scopo di scatenare odio, paura e indignazione». C'è di che riflettere.