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29 nov 2017

Gomorra 3

di Luciano Caveri

Guardo in televisione - con l'aiuto della sottotitolazione perché il dialetto adoperato in larga parte mi è impossibile capirlo - la nuova serie di "Gomorra", giunta alla terza stagione. Si tratta di una serie, nata da un'idea di Roberto Saviano, e liberamente tratta dal suo omonimo bestseller che da Napoli si è spostata in altre località legate alla camorra, tipo la Spagna, la Germania, l'Honduras e da quest'anno pure la Bulgaria. Con personaggi della serie che si destreggiano nelle lingue di quei Paesi, quando già non sanno farlo in italiano... Mi sono sempre chiesto, essendo la fiction televisiva italiana venduta praticamente in tutto il mondo, quale immagine si comunichi dell'Italia e della criminalità organizzata che, come un piovra (ricordate "La Piovra", antesignana in qualche modo?), avvolge non solo più il Sud, ma anche il resto d'Italia, Valle d'Aosta compresa con la sua dose di 'ndrangheta, di cui potremmo davvero fare a meno ed un giorno verrà in cui capiremo chi e perché ha agevolato, accanto a galantuomini venuti dalla Calabria, l'arrivo invece dei "cattivi".

Dicevo di Gomorra, che è talmente repulsivo, nelle storie di violenza e di orrore da essere seguito con grande attenzione, perché anche le cose brutte - lo vediamo dalla cronaca nera - attraggono per misteriose ragioni dell'animo umano. Anche a me capita, naturalmente, per quel senso di schifo che diventa interesse per capire sino a dove si possa spingere l'animo umano. Oltretutto con la constatazione di persone che girano senza freni e senza controlli, come se Magistratura e Forze dell'ordine fossero belle statuine che non presidiano il territorio e non sanno che pesci prendere per bloccare traffici illeciti. Devo dire, però, che questa constatazione triste di un mondo sotterraneo di delinquenza organizzata, fatta di personalità analfabete ma voraci, si è sempre accompagnato ad un senso di impotenza che ti fa dire se - alla fine - questa "Gomorra" non diventi uno spottone per criminali. Avevo letto di giovani del napoletano che nei bar, davanti al televisore, tifavano per quei gaglioffi che a me, sul divano di casa, suscitavano odio e ribrezzo. Leggo, nella sua rubrica su "L'Espresso", alcune osservazioni della giornalista - esperta del settore - Beatrice Dondi, che riassumo arbitrariamente (ma trovate il testo intero sul sito del settimanale). Così osserva acutamente: "Non sono eroi, non sono miti, non sono belli, ricchi, potenti, spietati o disumani. Sono soli. Gli uomini e le donne di "Gomorra la serie", in questa terza stagione si mostrano nudi. Spogliati definitivamente da disegni e sovrastrutture si aggirano come fantasmi abbandonati in una straziante solitudine, lontani da tutto e soprattutto dagli altri. I dialoghi sono ridotti all'osso. Perché non c'è comunione nel male, non c'è solidarietà, amicizia, amore. I padri uccidono i figli e i figli ammazzano i padri. Questo è il racconto. Questo è dove porta la furia di potere. O meglio, questa è la strada che a quel potere conduce». Trovo che l'osservazione sia intelligente rispetto a questi don Chisciotte schizofrenici delle periferie napoletane all'assalto di un mondo fatto di reti di malavitosi. Aggiunge Dondi: «La striscia di sangue e violenza su cui scivolano gli episodi viene da lontano ma non accompagna da nessuna parte che non sia il già visto. Quello dell'esercizio puro della conquista. Quando le mani si stringono intorno a un grilletto ciò che resta è la desolazione. Da Napoli alla Bulgaria, da Scampia al resto del mondo». Ma poi ecco il punto: «Sfumano, in questa stagione in maniera ancor più evidente, tutte quelle pregiudiziali fasulle dei pericoli legati alla narrazione. La supposizione risibile che "Gomorra" possa portare all'esaltazione dell'antieroe. Che il crimine acquisti fascino. Che l'orrore abbia il suo bello. Risibili, sì, perché basta immergersi appena in quelle luci oscure, in qui meandri desolati di un racconto disperato che in un attimo ciò che viene alla luce è solo e unicamente 
il senso di desolazione profonda in cui si viene trascinati quando si sposa l'altra parte della barricata». Mi fermo qui e aggiungo solo che ha ragione: questi i sentimenti di fronte all'abbruttimento umano, di cui persone consapevoli si fanno portatori e lo dimostrano molte discussioni che ho avuto con amici proprio su "Gomorra". Mi chiedo solo se la medesima posizione e sensazione ce l'abbiano coloro che - già nel fango di certe vicende - possono vedere in questa saga elementi non di un noir squallido e da voltastomaco nella descrizione catartica del Male, ma finiscano per convincersi che dentro la televisione ci siano loro eroi, anche se - naturalmente - per noi sono solo terribili antieroi, che vivono nel sangue e nella merda.