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12 nov 2017

Lo stop al Traforo del Gran San Bernardo

di Luciano Caveri

La chiusura del Traforo del Gran San Bernardo, che dovrebbe durare ancora un mesetto in assenza di un'alternativa di percorrenza con l'avvenuta chiusura invernale dello storico colle, è certo un danno per il turismo valdostano. Si ferma il passaggio degli elvetici dal "franco pesante", che scendevano in Valle per spendere, visti i vantaggi del cambio con l'euro e le conseguenze negative per le attività commerciali su entrambi i versanti derivano anche dal blocco forzato del flusso in transito su più lunghe distanze. Ci sono ora alcuni altri aspetti da illuminare sugli eventi. Il primo è comprendere a fondo la dinamica dei fatti scatenanti e l'eventuale sottostima dell'obsolescenza della struttura della soletta del tunnel (costruita con tecniche diverse sulla parte svizzera) e delle possibili conseguenze sul manufatto della costruzione dei lavori in corso nel vicino tunnel di sicurezza, ormai obbligatorio per adempiere alle direttive comunitarie sulla sicurezza dopo il rogo del Monte Bianco.

Ricordando come il traforo, che pure oggi sarebbe costruito a quote inferiori con maggior facilità di accesso e minori costi manutentivi, faccia parte della "Rete Transeuropea dei Trasporti" e già era danneggiato dai gravi ritardi del lavori di costruzione della seconda canna di servizio per varie vicissitudini e per i contestuali ritardi degli imponenti lavori di miglioramento della strada di accesso fra Etroubles e Saint-Oyen, dovuti prima a imprevisti costruttivi e poi a una sospensione per problemi dell'azienda appaltatrice, infine fallita con un stop che dura da anni. La seconda questione riguarda i rapporti proprio con la parte svizzera, che sembrano essersi degradati nel tempo e questo non è affatto positivo, vista la bilateralità dell'infrastruttura. Si tratta di un campo di cooperazione significativo, perché di lunga data, e ben sappiamo le potenzialità ulteriori nei rapporti con il Vallese e con gli altri Cantoni romandi.
Il terzo è capire bene le ragioni delle dimissioni del presidente del Traforo, Omar Vittone, con cui ho avuto qualche problema, visto che mie osservazioni sulla sua nomina alla "Rav" nel 2012 (sostenni in un'intervista: «E' un personaggio estremamente discutibile») sortirono una raffica di denunce a giornalisti ed esponenti politici - me compreso - per i dubbi manifestati. Ci fu dapprima l'archiviazione da parte del pubblico ministero, confermata dal Giudice per indagini preliminari - di fronte al quale il querelante aveva impugnato la decisione - perché secondo il giudice le obiezioni espresse erano «rientranti nel diritto di critica». Ma Vittone non solo restò in "Rav", ma venne poi "promosso" presidente del Traforo. Ma questa è acqua passata. Quel che conta è come questa chiusura apra gli occhi sull'importanza epocale che hanno avuto - vista l'evidente limitatezza dei nostri colli più o meno noti per attraversare le Alpi - i trafori stradali costruiti negli anni Sessanta con il Gran San Bernardo aperto all'esercizio nel 1964 e il Monte Bianco nell'anno successivo per rendere più agevoli e senza limitazioni stagionali gli interscambi. La strada ci ha dato quanto non avvenne, invece, dalla mancanza costruzione di una ferrovia che ci conducesse Oltralpe. In tutto l'Ottocento, epoca del treno per eccellenza, ci sono stati progetti veri e propri di trafori ferroviari sotto il Monte Bianco o sotto il Piccolo San Bernardo direzione Francia e sotto il Gran San Bernardo in direzione Svizzera. La Storia, però, con dei revirement assai interessanti dovuti spesso a problemi di politica estera di cui si capisce bene dagli sforzi inutili di alcuni deputati valdostani succedutisi dal 1848 in poi prima nel Parlamento Subalpino e poi nella Camera dei deputati, ha bocciato due secoli fa e pure tutte queste ipotesi ferroviarie transfrontaliere i francesi sono sempre stati disinteressati ad un collegamento ferroviario sotto il Monte Bianco, di cui pure è esistita qualche progettualità più recente di larghissima massima. Mi era capitato, sia in Europa che dalla Regione, di provare a rilanciare l'idea, ma tutti gli sforzi sono concentrati ormai da troppi anni e con tempi ormai dilatati verso la direttrice attraverso la Val di Susa ("Torino - Lione").
Gli svizzeri, invece, fecero una dozzina di anni fa - rispetto alla "Aosta - Martigny" - un discorso chiaro: per ora noi siamo impegnati le costruzioni del tunnel del Lotschberg (in esercizio dal 2007) e con quello di base del San Gottardo (aperto nel 2016) e solo in una fase successiva il dossier potrà essere riaperto. Temo, essendo venuto quel momento, che non ci siano ora né le condizioni politiche e neppure di finanza pubblica per ripartire. Dunque - esclusa a tutt'oggi una prospettiva di una ferrovia internazionale - bisogna tenersi ben stretti i tunnel stradali esistenti e mantenere elevati - per altro è un obbligo di concessione - i livelli di funzionalità e soprattutto di sicurezza per evitare quanto accaduto in questa occasione e per tenere così aperti i collegamenti con l'Europa, essenziali per un désenclavement della Valle.