Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
09 nov 2017

Poveri curdi

di Luciano Caveri

Mi piace talvolta rappresentare, perché per altro è una cosa che mi convince davvero, la necessaria visione del mondo che i valdostani dovrebbero sviluppare attraverso un gesto semplicissimo come gettare un sasso nello stagno, che suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie. So bene che questo gesto ha in realtà un significato più corrente e cioè quello di creare scompiglio in una situazione tranquilla, dando avvio a una lunga serie di eventi, provocando reazioni e conseguenze a catena che altrimenti non si sarebbero avute. A me quel che interessa, invece, è l'idea che non ci debba limitare al proprio cerchio, ma si debba avere consapevolezza degli altri cerchi più larghi.

Per dire: bisogna interessarsi.ai rapporti di vicinato, quindi guardare alle Regioni che ci circondano (Piemonte, Savoia, Vallese) con un perimetro che può allargarsi (penso all'"Euroregione Alp Med"), ma poi le Alpi (ci sono diversi perimetri, quello della "Convenzione alpina", quello di "Spazio Alpino", quello della "Macroregione Alpina"), ci sono poi cerchi più larghi come le Regioni che hanno poteri legislativi come il nostro, c'è la Rete - a livello ancora più vasto - delle montagne del mondo e dei popoli che le abitano, c'è il reseau mondiale della francofonia, ci sono le minoranze linguistiche e nazionali europee e di altri Continenti. Insomma si può essere - anche se il termine è desueto - "glocal", cioè essere "globali" e "locali", con alleanze e stimoli a geometria variabile per evitare di essere impantanati in una visione chiusa e gretta. Ci pensavo, leggendo un editoriale di Paolo Mieli sul "Corriere della Sera", dedicato ai curdi, con cui in passato ho intrattenuto interessanti rapporti politici. Così si esprime Mieli: «Quei curdi che, dopo aver aiutato per tre interminabili anni l'America e l'Occidente intero a debellare i terroristi di Daesh, sono stati lasciati in preda alle milizie sciite Hashd al-Shaabi guidate dal sanguinario Qasem Soleimani. E, con lui, a chiunque nella regione intenda approfittare del loro esser sfiniti dalla lunga guerra contro il Califfato per poterli sbranare una volta per tutte. Un tradimento orribile, il nostro. Quel popolo che, al prezzo di inimmaginabili sacrifici in vite umane, ci ha consentito di far saltare la centrale del terrorismo mondiale (senza che con ciò gli estremisti islamici, a ogni evidenza, possano esser considerati definitivamente debellati) proprio in questi giorni viene dato in pasto ai carnefici venuti dall'Iran e dall'Iraq. Mentre il loro presidente, Massoud Barzani, anche perché tradito da un raggruppamento rivale, è costretto alle dimissioni con parole piene di dignità che tra qualche anno finiranno nei libri di storia. Anche i curdi, negli stessi giorni della Catalogna, avevano promosso un referendum per sancire la propria indipendenza. Il mondo non ha riservato attenzione a questo passaggio della loro vicenda storica». Più vanti argomenta Mieli: «Quella curda è una storia lunga e travagliata. Per stare solo agli ultimi 150 anni, i curdi furono strumentalizzati dai turchi nella guerra contro i russi tra il 1877 e il 1878. Ma quando, capeggiati da 'Ubayd Allah, chiesero di ottenere l'autonomia che era stata loro implicitamente promessa, furono brutalmente repressi dai turchi stessi (con il tacito consenso degli inglesi). Poi vennero utilizzati dagli ottomani, nel 1915, nell'olocausto armeno, l'unica, indelebile, macchia sul loro passato. E anche stavolta non ottennero nulla. Tra il '16 e il '18, furono eccitati contro l'impero della Sublime Porta prima dalla Russia zarista, successivamente, nella fase conclusiva della Prima guerra mondiale, dalla Gran Bretagna che promise anche a loro come ad arabi ed ebrei un "focolare" nazionale. Nel dopoguerra, 1920, con il trattato di Sèvres, ottennero soddisfazione e fu finalmente definito sulla carta geografica uno Stato del Kurdistan. O almeno così sembrò: il sogno durò pochissimo e fu mandato in frantumi dalle offensive del turco Mustafa Kemal (ma non solo). Trascorsero tre anni e con il Trattato di Losanna (1923) la comunità curda venne smembrata tra Turchia, Siria, Iraq e Iran. Da quel momento il gioco delle potenze circostanti fu quello di aizzarli gli uni contro gli altri. In ciò fu assai efficace la Turchia, ma ancor più, dagli anni Ottanta, l'Iran degli ayatollah. All'inizio dei Novanta, dopo la prima guerra del Golfo (1991), gli Stati Uniti diedero segni di ravvedimento e imposero una no-fly zone sui territori curdo-iracheni fin lì martoriati da Saddam Hussein. Ne derivò una sorta di autogoverno afflitto però dalla lotta tra fazioni curde rivali (particolarmente sanguinose quelle tra il 1994 e il 1997). Passarono altri quattordici anni - con la seconda guerra a Saddam (2003) - e dal 2005 fu istituita una regione curda semiautonoma nel Nord dell'Iraq. Un'altra simile fu creata, dal 2012, nel Nord-Est della Siria, quella Siria in cui era iniziata la rivolta contro Assad. Poi, nel 2014, venne la stagione di Califfato e ai curdi fu affidata la missione di combatterlo sul terreno laddove gli eserciti, irakeno e siriano, erano stati travolti proprio dagli uomini di Al Badgdadi. I peshmerga si sono battuti con un coraggio e una tenacia che all'inizio nessuno avrebbe immaginato. Americani e russi diedero il loro contributo dai cieli, ma a dissanguarsi sul terreno contro quei terribili tagliateste c'erano loro e pressoché soltanto loro: i curdi. Noi occidentali avevamo promesso che, nel caso questa battaglia fosse stata vinta, mai li avremmo lasciati in balia delle milizie sciite armate da Bagdad e da Teheran. E loro ci hanno creduto. Diciamo la verità: all'epoca nessuno, neanche il più cinico di noi, avrebbe potuto immaginare che (dopo averli impegnati per tre interminabili anni in un combattimento corpo a corpo, metro per metro) li avremmo abbandonati al loro destino. E che, anzi, avremmo spianato la strada ai loro carnefici. In un battibaleno, tra l'altro. Invece è accaduto». Mi fermo qui: perché questa questione della Politica internazionale e dell'attenzione che dobbiamo avere non è la ricerca ingenua di chissà quale parallelo con i valdostani - ciascuno ha la sua storia - quanto il fatto che, nella logica vasta che evocavo all'inizio, bisogna essere vigili anche rispetto al cerchio più largo e più distante per capire dove vanno le vicende umane e trarre da ogni questione, anche quella apparentemente più remota, delle lezioni utili.