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02 ott 2017

La Storia ritorna con diverso travestimento

di Luciano Caveri

E' sempre complicato esprimersi, perché chi si espone se ne assume le responsabilità, mentre chi tace può sempre veleggiare. Vedo molti "velisti" anche in mezzo alle nostre montagne che su certi temi si pongono in attesa di vedere dove tira il vento oppure danno "un colpo al cerchio ed uno alla botte" per non dispiacere a nessuno. Mentre piacere a tutti è impossibile e questo è un bene, perché tanto prima o poi la maschera che cela cade e la verità si manifesta. Questa scelta di dire come la si pensa senza troppi giri di parole porta giustamente a raccogliere consensi e anche, per contro, a tirarsi addosso delle obiezioni. E' un gioco dialettico che mi stimola, perché nessuno ha la verità in tasca e punti di vista diversi, anche difformi, aiutano a migliorare la qualità delle proprie opinioni.

Ha scritto Émile de Girardin: «Je ne discute pas pour discuter; je discute pour m'affermir dans mon opinion si elle est vraie, la fortifier où elle est faible, la redresser où elle est fausse, l'abandonner si elle ne peut être redressée. La discussion est la balance qui, à défaut de l'application, me sert à vérifier ce que l'idée pèse comparativement à l'objection, et l'objection comparativement à l'idée. Paraître avoir raison n'est pas ce qui m'importe; ce qui m'importe, c'est que la raison ait raison et que l'erreur ait tort». Questa riflessione, imbevuta di saggezza, vale su un punto che, tornando periodicamente, finisce per essere sempre d'attualità: si potrebbe anche far finta che le pagine che stiamo vivendo della Storia siano del tutto nuove e che il passato vicino o lontano non interferisca affatto. Dando ragione a chi, di questi tempi, liquida ad esempio le preoccupazioni per i rigurgiti neonazisti e neofascisti come una specie di mania passatista, andando a cercare vecchi temi polverosi ormai sepolti nella memoria. Sarebbe in sostanza un esercizio sterile - potremmo dirlo enfaticamente: un ideologismo - tornare al secolo scorso, che pure ha significato il passaggio ad un nuovo millennio, lasciando intendere che attardarsi a letture del presente con certe vicende incatenate ad altre epoche sarebbe un'operazione anacronistica e irrealistica. Sarebbe nient'altro che un modo per strumentalizzare l'attualità, non cambiando mai registro, ancorati a schemi già noti e come tali rassicuranti. Mi spiace ma - pur pensando che è sempre meglio guardare avanti che indietro - non sono d'accordo e ciò vale per tutto quanto ci arriva come eredità, capitoli belli e capitoli brutti. Non mi sento affatto "vecchio bacucco" o un inguaribile nostalgico ad evocare oggi quanto si è vissuto in passato. So bene che le circostanze della storia mai si ripetono con esattezza perché ognuno è figlio del suo tempo, ma Emil Cioran diceva e sottoscrivo: «La storia, a voler essere esatti, non si ripete, ma, poiché le illusioni di cui l'uomo è capace sono limitate di numero, esse ritornano sempre sotto un diverso travestimento, dando così a una porcheria ultradecrepita un'aria di novità e una vernice tragica». Si può anche far finta di niente e credere che ci sia un "nuovismo" che cambia tutto radicalmente, compresa la natura umana e la ripetitività di alcuni schemi di comportamento, ma questo significherebbe solo convincersi dell'illusione della "pagina bianca". Invece non è così ed è per questo che lo studio di quanto è avvenuto, riportandolo alla realtà odierna, non è un esercizio inutile. Ed a costo di essere pedanti bisogna tornarci sopra, guardare e capire per evitare di trovarsi in panni già vestiti. Certo questo non basta: la vera difficoltà - penso alla crisi della Valle d'Aosta attuale - sta nella necessità di non adagiarsi, credendo che tutto ciò che c'è vada considerato come acquisito. Esiste, al contrario, un movimento continuo cui bisogna adeguarsi per evitare di ritrovarsi superati dagli eventi. Tenere aperto il cantiere delle idee e dei progetti serve proprio ad evitare di finire in un immobilismo letale o di essere colpiti dalla terribile damnatio memoriæ, che vuol dire perdere del tutto le ragioni più profonde che spingono a credere in quello che siamo, come frutto di quanto ci ha preceduti. Con Antoine de Saint-Exupéry: «Pour ce qui est de l'avenir, il ne s'agit pas de le prévoir, mais de le rendre possible».