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13 ago 2017

Il gorgo delle Mafie

di Luciano Caveri

Qualche anno fa ero stato nel Gargano, dove mi avevano raccontato fatti e misfatti della criminalità locale, originale espressione di quella logica di clan del malaffare, che si disputano - con faide e lotte intestine - il controllo del territorio in una delle perle del turismo pugliese. Una recente strage conferma quanto già era ben noto, per cui la reazione muscolare dello Stato potrà servire a tranquillizzare l'opinione pubblica, ma non nasconde la realtà di Mafie che, comunque si definiscano (Mafia, 'Ndrangheta, camorra, criminalità foggiana) restano della stessa pasta e dimostrano come, in Italia - come se fossimo in America Centrale o in quella del Sud - vaste porzioni del territorio sono occupate manu militari da organizzazioni di delinquenti che si sostituiscono alle autorità pubbliche e seminano pure adepti nelle Amministrazioni locali, per cui sfugge chi siano controllori e controllati, in un pastone che fa paura.

Diceva Giovanni Falcone, morto per mano della mafia: «La mafia, lo ripeto ancora una volta, non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società. Questo è il terreno di coltura di "Cosa nostra" con tutto quello che comporta di implicazioni dirette o indirette, consapevoli o no, volontarie o obbligate, che spesso godono del consenso della popolazione». A distanza interloquiva Paolo Borsellino, ucciso anche lui, rivolgendosi così proprio a Falcone: «Giovanni, ho preparato il discorso da tenere in chiesa dopo la tua morte: "Ci sono tante teste di minchia: teste di minchia che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello... quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero... ma oggi signori e signore davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c'è il più testa di minchia di tutti... Uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge"». Ma aggiungeva in altra occasione: «Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della magistratura e delle Forze dell'ordine a occuparsi esse solo del problema della mafia [...]. E c'è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l'ha condannato, ergo quell'uomo è onesto... e no! [...] Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, beh ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest'uomo è un mafioso. Però i Consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico "tal dei tali" inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest'uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!». E' triste da dirsi, leggendo della mobilitazione di uomini e mezzi (ora sono di moda i droni!), per contrastare la criminalità nel Gargano, come avviene di solito di fronte a misfatti particolarmente gravi con logiche comprensibili di reazione, ma la realtà è molto più terra a terra. Restano gravi e difficili da sradicare quegli elementi di interazione con la società, fatta di complicità e sudditanza, che rendono impossibile distinguere con facilità il buono dal cattivo. E' una situazione tragica, perché a parole sembra esserci - specie di fronte a delitti gravissimi - sempre una reazione forte e fatta di deprecazione verbale, fiaccolate di solidarietà, grandi discorsi retorici e annuncio di misure straordinarie. Ma poi, gratta gratta, la realtà è che il Sud non solo continua a rimanere in buona parte sprofondato nello strapotere delle Mafie, ma che queste stesse Mafie si stanno mangiando territori - penso anche alla Valle d'Aosta - un tempo immuni da certi fenomeni. Quindi non è la straordinarietà che colpisce, ma l'ordinarietà, che è fatta da un continuo sprofondare malgrado i mille sforzi nelle regioni da sempre vittime di certi fenomeni, che portano con sé anche chi un tempo ne era immune. Un gorgo da cui mi domando come si possa uscire.