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05 ago 2017

Il famoso dialogo in Valle d'Aosta

di Luciano Caveri

Ci vorrebbe - ma per scritto purtroppo non viene bene - un rullo di tamburi prima di cominciare e ciò per attirare per un attimo l'attenzione. Vorrei dire alcune cose, restando nel perimetro delle buone maniere. La drammatizzazione e la rissa continua, ormai cifre indelebili di una politica italiana avvelenata e rissosa, finirebbero proprio per far piacere a chi ama - anche in Valle d'Aosta - alzare i toni, mentre una risata ferisce più di una spada e soprattutto evita l'acidità di stomaco. Proviamo brevemente a ricapitolare di che cosa si tratti con brevi cenni, che disegnano il puzzle complessivo di certe mie preoccupazioni, che riguardano il clima del confronto, certo indispensabile e aperto, ma guardandosi negli occhi e con serietà d'intenzioni.

«Mi hanno detto che hanno detto che avresti detto quel che forse è stato detto o anzi sottoscritto con inchiostro blu o forse simpatico. Fonti certe, testimoni oculari, pare segreti orecchiati e persino un appuntino lasciato sul tavolo e qualcuno dice, con malizia, su di un comodino. Quel fatto va interpretato visto da sotto da sopra o forse di sghimbescio o da dietro? Per strada, al ristorante, dentro il criptoportico, sotto la statua del Re Cacciatore ti hanno visto con Tizio, me lo ha confermato Sempronio e anche uno dei sette Nani, che parlavate fitto fitto, chi dice con commozione o con risa, secondo le diverse fonti. Nuove formule, vecchie conoscenze, nuove scoperte, accordi geometrici anzi qualcuno mormora persino con radici quadrate che nella crisi suonano come un salvifico cambiamento». Sono impazzito? Può darsi, ma - saranno il caldo o le esperienze - mi sono piuttosto stufato dei sussurri e delle grida, dei retroscena e delle tavole rotonde e quadrate, dei beneinformati e di quelli che la sanno così lunga persino delle cose che fai tu più di te medesimo, dei soliti noti e del "nuovo più nuovo" che pare un detersivo, per non dire della storia del "cambiamento" quando sembra la pelle di un camaleonte. Deluso che una parte della politica valdostana passi il tempo - con una discreta corte di figuranti e lacchè - a disquisire sul futuro, costruendo troppo spesso mondi improbabili frutto di tatticismi da tavolino, mentre il futuro - quello vero - incombe, i problemi si moltiplicano e impazza la sfiducia che è un virus terribile, ma forse è persino peggio l'indifferenza. La lealtà e la sincerità nelle intenzioni contano molto di più di tante, troppe parole in cui vivacchia un discreto sottobosco in cui amici e nemici sono diventati difficili da distinguere per il semplice fatto che hanno più scarpe che piedi. Per cui mi appello solo al buonsenso e all'intelligenza, che per fortuna esistono, perché accomunare tutti sarebbe uno stupido pregiudizio. Personalmente ho deciso che mai come di questi tempi dirò quel che penso, senza troppi filtri, in una logica che consenta sempre di distinguere scelte e posizioni, come deve avvenire in passaggi stretti che danno un senso al famoso "avvenire", che poi arriva davvero. Per me non è uno sforzo farlo, ma il rischio è che non tutti gli interlocutori lo facciano a loro volta e dunque l'operazione trasparenza può anche diventare unilaterale. Niente di trascendentale ma mi piacerebbe che il metodo fosse condiviso, perché chi conosce la situazione sa che il tempo è scaduto e non ci si può permettere di giocare commedie degli equivoci, distribuire storie favolose, infangare credibilità altrui, fare dell'intrigo la prassi consolidata. Bastano poche regole cui attenersi per ricreare un clima sereno su cui costruire il domani e anche molto più in là. Altrimenti saranno guai.