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18 giu 2017

Quei partiti senza bussola

di Luciano Caveri

Uno guarda gli esiti delle elezioni amministrative in Italia e ha motivi per stupirsi (tipo il flop di Beppe Grillo e il ritorno del centrodestra) e ne ha ancora di più per il terremoto politico per le Legislative francesi (Emmanuel Macron stravince, male i socialisti e il Front National) e ci si chiede di conseguenza come bradisismi e terremoti derivino da una Politica che cambia con rapidità e manca talvolta il tempo per fermarsi a pensare, facendo pure i conti con tassi spaventosi di astensionismo che incidono sulla democrazia rappresentativa. Sono una marea gli scritti sul presente e sul futuro dei partiti e dei movimenti politici. Il punto comune è che sono profondamente in crisi e si stentano a trovare delle formule nuove, che li sdoganino nell'angolo dove sono finiti, di fatto comitati elettorali (quando non di affari) che gestiscono le elezioni e vivacchiano fra un appuntamento con le urne e l'altro.

Non mitizzo affatto i partiti del passato che ho conosciuto, figli della Repubblica ed eredi in certi casi del fervore politico dell'Italia liberale fra Statuto albertino, Unità d'Italia e la tabula rasa del Ventennio fascista con la rinascita fra Liberazione e Costituente. Eppure, con qualche pregio e tanti difetti ("Tangentopoli" docet), sono stati la passerella indispensabile fra cittadini e Istituzioni fino alla strana situazione attuale, che stento a decifrare. Il rovello principale riguarda, dato per scontato che oggi si affermano forme organizzative snelle e meno burocratizzate, la reale capacità di incidenza e di contatto-riflessione con la cittadinanza, termine che preferisco ad opinione pubblica. Per capirci nel caso valdostano in cui mi sono mosso negli ultimi trent'anni: come diavolo fare a ridare un ruolo alle forze politiche che consenta loro di essere luogo di elaborazione di idee e proposte quando con tutta evidenza cresce la difficoltà di coinvolgere le persone in forme partecipative e di militanza attiva? Penso alle forme in transizione di comunicazione politica. Lo scenario è bizzarro. I vecchi comizi o incontri vedono partecipazione scarsa, composta da affezionati, e calante specie se comparata ad un passato in cui le presenze erano un fenomeno spontaneo di interesse e di adesione. Esistevano giornali di partito come ulteriore punto di contatto, oggi scomparsi del tutto è certo non sostituiti dal Web. I siti politici sono delle nicchie e la presenza sui "social" è null'altro che una vetrina e quando si aprono spazi di discussione alla scarsa presenza si somma il rischio di cadere nei veleni e delle cattiverie di chi imbratta la Rete come si fa con i muri. In contemporanea in Valle d'Aosta sono scomparse le televisioni private e le radio stentano a seguire la politica, a differenza dell'effervescenza a cavallo fra gli anni Settanta, Ottanta e Novanta. Letale si è dimostrata, specie in periodo elettorale, la normativa di fatto liberticida della "par condicio". Intanto è venuta meno la logica organizzativa dei partiti, fatta di sezioni, gruppi di lavoro, commissioni, organi direttivi, sostituito da piccole task force, in cui gli eletti fanno la parte del leone perché hanno più tempo e conoscono meglio i dossier e questa professionalizzazione è un'ulteriore ostacolo al coinvolgimento di soggetti nuovi, che si demoralizzano facilmente scoprendo la fragilità delle forme organizzative della politica attuale. L'idea di contare poco, di perdere tempo, di non ricevere la formazione necessaria sono elementi demoralizzanti che fanno perdere in fretta energie. E questo si accompagna ad una larga maggioranza di cittadini disinteressati, immersi in una dimensione quotidiana in cui la Politica è assente o distante, fatta di un analfabetismo civico dovuto al vuoto di apprendimento dei rudimenti che consentono di essere soggetti consapevoli. E chi, invece, la consapevolezza e la conoscenza ce l'ha sceglie di non farsi coinvolgere per mille motivi e così spesso persone valide lasciano il passo a persone meno meritevoli che finiscono per entrare in politica senza avere doti e capacità indispensabili, perché i vuoti vengono sempre riempiti. Così l'astensionismo non solo al voto ma dall'impegno politico è un vuoto che viene comunque riempito. Eppure in Valle d'Aosta il disimpegno e la catatonia sono elementi che erodono le fondamenta dell'Autonomia che, sfrondata la retorica e il mito, funziona solo se ci si crede e si ha un livello di conoscenza e di impegno che tengano viva quella tensione politica e morale senza la quale, fra una distrazione e un pisolino, si rischia di farsi scippare l'ordinamento valdostano e le sue prerogative, spostando altrove ogni scelta e decisione. Cercare nuove forme di organizzazione politica e antidoti al veleni del disinteresse e del populismo dai facili slogan non è facile, ma provarci penso sia doveroso.