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05 giu 2017

I ragazzi del 1999 e quelli del 1899

di Luciano Caveri

L'invidia è una brutta bestia e non a caso viene catalogata nella teologia cattolica come uno dei sette vizi capitali. Ma forse ne esiste anche una versione più dolce, perché è senza rancore o astio, ma è solo pensare a quanta fortuna e felicità possono avere altri a vivere certi momenti. Per altro, già in italiano, espressioni come "ha una salute che fa invidia" o "essere degno d'invidia" non hanno quel malanimo e quella bile che alcuni hanno dipinto sul loro volto ed a cui uniformano le loro azioni, trattandosi invece di una logica di ammirazione e di considerazione. Allora posso dire, giorni fa, di avere invidiato i ragazzi del 1999 di Issogne, impegnati in una festa popolare, con auto strombazzanti, foulard d'ordinanza, canti e balli nella loro prima ricorrenza da coscritti.

La vitalità dei diciotto anni si riversa ancora, in gran parte della Valle d'Aosta, in questo rito - che comprende qualche eccesso alcolico che mi pare le giovani generazioni sappiano domare con la scelta oculata degli autisti - che significa ormai il passaggio verso la maggiore età. Ma questo avviene nel ricordo di che cosa siano stati i "coscritti", che un tempo erano niente altro che i ragazzi - me compreso a suo tempo - che andavano a fare la visita nei distretti di appartenenza per vedere se avessero o no le caratteristiche per rientrare nella leva. Circoscrizione nata nel tempo per la necessità degli Stati di avere un esercito più grande possibile con arruolamenti obbligatori. Dal 2005 in Italia, come in molti Paesi del mondo, la leva non c'è più, anche se ora si riflette su formule di leva breve, sapendo che in Europa molti Paesi hanno ancora la "naja" obbligatoria ed in certi casi la si sta ripristinando, tenendo conto del quadro internazionale pieno di incognite e del fenomeno del terrorismo islamista. Devo dire che mi ha fatto impressione, guardando quei ragazzi festanti, pensare - visto che siamo a un secolo dalla Prima Guerra mondiale - ai loro coetanei del 1899. I fatti sono tristemente noti: nei primi mesi del 1917, quando la guerra si stava ormai protraendo da quasi due anni con un prezzo di vite umane elevatissimo anche per l'avvento di armi e tecniche mai conosciute prima, per controbilanciare le numerose perdite lo Stato Maggiore chiamò alle armi in Italia 80mila diciottenni della classe 1899. Istruiti in modo superficiale, prima di essere buttati nelle trincee, vennero inizialmente inquadrati nella "Milizia territoriale". In seguito, alla fine di maggio ne furono chiamati alle armi altri 180mila, ed altri ancora vennero intruppati nei mesi successivi. Nel novembre 1917, dopo la disastrosa dodicesima battaglia dell'Isonzo e la conseguente rotta di Caporetto, i "ragazzi del'99" vennero inviati sul fronte vero e proprio. Il loro intervento risultò fondamentale per la resistenza sulla linea del Piave, tanto che il nuovo Capo di Stato maggiore Armando Diaz così li citò in un Ordine del giorno: «I giovani soldati della Classe 1899 hanno avuto il battesimo del fuoco. Il loro contegno è stato magnifico e sul fiume che in questo momento sbarra al nemico le vie della Patria, in un superbo contrattacco, unito il loro ardente entusiasmo all'esperienza dei compagni più anziani, hanno trionfato. Alcuni battaglioni austriaci che avevano osato varcare il Piave sono stati annientati: 1.200 prigionieri catturati, alcuni cannoni presi dal nemico sono stati riconquistati e riportati sulle posizioni che i corpi degli artiglieri, eroicamente caduti in una disperata difesa, segnavano ancora. In quest'ora, suprema di dovere e di onore nella quale le armate con fede salda e cuore sicuro arginano sul fiume e sui monti l'ira nemica, facendo echeggiare quel grido "Viva l'Italia" che è sempre stato squillo di vittoria, io voglio che l'Esercito sappia che i nostri giovani fratelli della Classe 1899 hanno mostrato d'essere degni del retaggio di gloria che su loro discende. Zona di guerra, 18 novembre 1917 - Il Capo di S.M. dell'Esercito A. Diaz». Questa retorica guerresca, pensando alle responsabilità di tanti Generali inetti che manovrarono soldati in carne ed ossa come se fossero stati dei soldatini di piombo con cupa capricciosità, colpisce ancora al cuore, per non evocare le terribili perdite umane di quel conflitto mondiale. Nel 1918 quei giovani combattenti furono infine fra i protagonisti della riscossa con le due battaglie del Piave (giugno) e di Vittorio Veneto (fine ottobre). Invidio davvero quei ragazzi che facevano festa, sere fa, come tanti altri diciottenni in altri Comuni della Valle (ed io lo farò con i miei coscritti in occasione, purtroppo, dei miei sessant'anni il prossimo anno), ma mi piacerebbe - lo dico con ingenuità - che potessero in qualche modo sapere e valutare quanto di diverso riguardò i loro trisavoli o bisnonni. Questa è la forza più genuina che deve alimentare l'europeismo. Il pensiero di quei ragazzi in trincea che, come carne da macello, furono inviati all'assalto in battaglie spaventose o perirono nello squallore delle trincee. L'Unione europea nasce e vive soprattutto per quello: per permetterci di pensare ad un Vecchio Continente, in cui le rivalità e gli interessi che insanguinarono per secoli i rapporti fra i Paesi, abbiano definitivamente svoltato dal dopoguerra ad oggi. Pur con i terribili fatti nei Balcani alla fine del secolo scorso e ora in Ucraina, le relazioni in Europa sono state improntate alla Pace e non è stato un fatto secondario per le nostre vite.