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05 mag 2017

Le Primarie all'italiana

di Luciano Caveri

Vorrei cominciare dal fondo, pensando - come spunto di attualità - alle votazioni del Partito Democratico di queste ore, cui ovviamente non ho partecipato, com'è giusto che sia, non aderendo al partito e neppure simpatizzando, perché questa pareva essere la condizione logica per andare ai "gazebo" (parola anglo-indiana che indica una tenda da giardino e che, in fondo - per me - dice già tutto...). Mi pare che l'esito di afflusso sia stato elevato, più del previsto, ma decrescente rispetto al passato (in Valle d'Aosta è un dato chiaro e in più non conosco il dato di quanti non residenti abbiano votato qui). Va aggiunto che la vittoria di Matteo Renzi è stata chiara e senza avversari che lo potessero contrastare.

Ma resto convinto, come da sempre, che questa storia delle "primarie" in Italia è stata, da una dozzina d'anni, solo una goffa e inefficace ricopiatura del particolare modello americano per la scelta del Presidente USA, che invece - tra "primarie" vere e proprie e "caucus" (dall'indiano "riunione dei capo tribù"!) di vario genere - ha una storia lunga vera, non d'importazione e ben normata. Ci riflettono - lo osservo incidentalmente - anche in Francia, dove, adoperate di recente le "primarie" per le Presidenziali in corso, si sono dimostrate un "harakiri" per i socialisti e per la destra tradizionale con candidati impallinati al primo turno. Ma torniamo dall'inizio con questa sintesi su che cosa siano le "primarie", che scippo alla "Treccani": «Costituiscono un procedimento elettorale utilizzato per permettere agli elettori di scegliere i candidati a cariche pubbliche o interne al partito. Il loro scopo è quello di coinvolgere attivamente i cittadini nel processo decisionale superando la logica della nomina dei candidati imposta dai dirigenti dei partiti organizzati. Praticate in alcuni stati degli Stati Uniti già a metà dell'Ottocento, in Italia sono state introdotte solo nell'ultimo decennio come tentativo di riqualificazione dell’azione pubblica e di riavvicinamento dei cittadini alla politica. A farsene promotore è stato lo schieramento di centrosinistra che le ha utilizzate per la prima volta nel 1999 per scegliere il candidato sindaco di Bologna, e in seguito, in forme diverse, in occasione delle elezioni regionali del 2005 in Calabria e in Puglia. A dare particolare visibilità a questo strumento politico sono però state le "elezioni primarie" svoltesi su scala nazionale e indirizzate a tutti gli elettori italiani di centrosinistra, tenutesi nell'ottobre 2005 quando l'Unione ha chiesto ai suoi elettori di scegliere il candidato alla presidenza del Consiglio per le future elezioni politiche». Da lì in poi il centrosinistra ha continuato a usare questo strumento, mai adoperato da centrodestra, se non per piccole questioni marginali. Ma la verità è che tutto è rimasto qualcosa di autoregolato e dunque debole. Aggiunge la "Treccani" sul punto: «Nonostante il crescente successo, le "elezioni primarie" non hanno in Italia una regolamentazione legislativa e si svolgono nell'ambito della dimensione volontaristica e privatistica e, di conseguenza, non hanno valore vincolante. Solo la Regione Toscana, avvalendosi delle prerogative di autonomia concesse dalla legge regionale, ha introdotto una normativa volta a promuoverle e a regolamentarle». Quest'ultima legge è stata poi abrogata e solo la Regione Calabria ha riprovato senza successo a darsi delle regole. Questa scelta di mai legiferare davvero per evitare equivoci e spazi grigi è già in sé il segno di una pietra tombale su un sistema che da noi rischia non di risolvere ma di aumentare la crisi di credibilità dei partiti, che vanno rinnovati nella sostanza del loro ruolo democratico e non con consultazioni senza radici vere e senza regole pubbliche, che servono in più solo a creare divisioni già prima delle elezioni e ad esaltare leader che, se non hanno solidità morale come poteva avere un Romano Prodi, possono trasformare certi risultati in alimento di derive populiste e di narcisismo carismatico. Specie se mediatizzati come se una votazione interna fosse chissà quale fenomeno... Certo l'alternativa non è l'uso delle consultazioni on line del "Movimento 5 stelle", ieri esaltata da Beppe Grillo sul blog contro la scheda del PD, visto che è una rappresentazione caricaturale della democrazia diretta e della democrazia tout court. Come scriveva ieri l'esperto Massimo Mantellini su "Il Post", Grillo e c. usano il Web come «uno stendardo superficiale utile per abbindolare i meno furbi». E quindi? Bisogna ripensare al modello dei partiti, con regole diverse, che tengano conto dei cambiamenti avvenuti e che portino a una partecipazione vera e non con voti una tantum come label di democraticità, che nel caso del PD fotografano un partito che ha perso pezzi e ne perderà ancora e dunque ogni trionfalismo dovrà fare i conti più sul vuoto che sul pieno.