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05 mag 2017

Il teatrino della politica e dell'antipolitica

di Luciano Caveri

Non è sempre facile il tentativo di tenere accesa la fiammella dell'interesse per la politica ed è perciò necessario cercare spunti ed occasioni affinché questa si concretizzi con un impegno, che mobiliti e motivi quelli che ancora ci credono. Se ci si riesce, noto con piacere che cova sotto la cenere un desiderio inespresso di capire questa benedetta "Cosa Pubblica", la cui alternativa - scusate l'ingenuo gioco di parole - è davvero "Cosa Nostra", nel senso più lato del termine... Ci sono espressioni in politica su cui riflettere: alcune richiamano subito alla mente la fortunata-sfortunata avventura di Silvio Berlusconi in politica. Una fu «scendere in campo», altre «minaccia comunista» e «persecuzione giudiziaria», immancabile è stata «teatrino della politica», che impiccava la Prima Repubblica sulla pubblica piazza.

Quest'ultima espressione è sopravvissuta anche nell'epoca renziana, che ha sostanzialmente riproposto la logica di un nuovo lessico, che ha contribuito ulteriormente allo smontaggio della politica tradizionale, disegno che era nelle intenzioni del giovane leader del Partito democratico e con una certa continuità esprimeva la volontà, piena di ambiguità e di detto e non detto, di rottamare la vecchia politica e sostituirla con quella nuova. Al racconto berlusconiano di un «miracolo italiano» si è sostituita o forse solo aggiunta la tecnica renziana, anch'essa originata dal marketing, dello "storytelling", cioè "racconto" e "narrare" o meglio "narrare un racconto", che serve a far sì che gli ascoltatori-elettori si immedesimino in una comunicazione ricca di sentimenti, di emozioni, di messaggi, di esperienze che rendano epica l'avventura politica. Berlusconi alla fine non ne ha avuto giovamento, anche se resta sulla scena per mancanza di competitori, Renzi ha avuto la più grossa sconfitta con il referendum costituzionale, ma non demorde e si vedrà se questa sua logica, da cui pare non distaccarsi, possa farlo tornare a galla. Chiaro ed esplicitato il suo disegno: tornare a fare il premier in barba al famoso «mi ritiro se perdo il referendum», ma anche i racconti hanno le loro pagine bianche. Tuttavia questo quadro politico, in cui diventa indistinguibile la posizione politica di molti sulla scena, ma ne guadagnano quelli che urlano più forte o la sparano più grossa, finisce per essere - per la grande maggioranza dei cittadini - un brutto vedere, che accresce in sostanza quel distacco che tutti dicono voler rimarginare, perché certe ferite hanno messo in ginocchio la credibilità stessa di elementari e apparentemente rodati meccanismi democratici. Mi trovo spesso - per quanto difensore strenuo della rappresentanza democratica - piuttosto spazzato da chi, facendo di ogni erba un fascio, esprime malessere e dissenso su di una sorta di "scala Mercalli" che va dal mugugno alla violenza verbale, ma si è già visto il rischio di trascendere a quella fisica. Alla fine chi abbozza, nel nome del "politicamente corretto", non dico una difesa d'ufficio, ma quantomeno la necessità di fissare dei paletti che consentano una discussione civile, rischia di finire male. Qualunque tentativo di spiegazione viene visto come fumo negli occhi da chi cavalca luoghi comuni e dispensa condanne senza appello e questo non è grave in sé, ma lo diventa quando manca la parte costruttiva del ragionamento. Così al "teatrino della politica" si aggiunge il "teatrino dell'antipolitica", altrettanto ridicolo e caricaturale, quando il buonsenso scompare in discussioni che diventano solo emotive, passionali e in parte sconclusionate. Una sorta di teatro dei pupi, dal latino "pupus" che significa "bambino". Sono le celebri marionette dell'opera appunto dei pupi, teatro tipico siciliano, ancora animato dai pupari sopravvissuti ad un mondo che cambia e seppellisce certe tradizioni. Ogni pupo rappresenta un cavaliere caratterizzato dalla corazza e dal mantello specifici e solitamente il pubblico comincia un vero e proprio tifo per le loro gesta e spuntano sul palchetto Orlando e Rinaldo, Carlo Magno e Baldovino, Angelica e Gano di Maganza, oltre ai terribili Saraceni. Alla fine si ride, ci si spaventa, si battono le mani e si aprono e si chiudono vicende rodate da tempo con copioni elementari. Smontata la scena, riposti i pupi, andati a casa i pupari, tutto resta come prima, che è l'esito della "politica antipolitica".