Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
13 apr 2017

Tocca sempre alla Giustizia...

di Luciano Caveri

Ci sono temi che vanno e che vengono nel dibattito politico e poi alla fine, dopo un gran parlare, restano come sospesi nell'aria a somiglianza di certe figure enigmatiche alla Magritte. Sul "Corriere della Sera", occupandosi del gasdotto sulle coste pugliesi oggetto di feroci contestazioni e cause giudiziarie a raffica, l'acuto editorialista del giornale, Pierluigi Battista, scrive: «La specialità italiana è la moltiplicazione dei pareri che si contraddicono, che vanificano ogni decisione, che fanno slittare i tempi per arrivare all'eternità sempre con lo stesso risultato: il nulla più assoluto». Aggiunge poi: «Questo è il vero caso italiano. Un groviglio di norme, cavilli, commi, articoli, sottoarticoli, eccezioni che rendono disperante in Italia qualunque iniziativa».

Si tratta di una constatazione ben visibile, quasi una resa, di cui ognuno di noi è spesso testimone attonito. Da questo punto di vista anche in Valle d'Aosta non si scherza nel solco di questa deriva. E' una storia che ha almeno due facce. La prima è la mitizzazione dei "parere pro veritate", che piacciono molto al mondo politico, come se si trattasse di una specie di contributo alla Verità, di cui non si può fare a meno per decidere. Scrive meravigliosamente l'anonimo estensore di "Wikipedia", uscendo dalla finta neutralità di certo linguaggio giuridico ipocrita: «Pro veritate alla lettera per la verità è una locuzione latina spesso usata anche nei testi italiani nell'espressione di parere pro veritate. Nell'attività degli studi legali, a fianco e spesso in modo prevalente rispetto all'attività del contenzioso giudiziale o extragiudiziale, vi è spesso una attività consulenziale in favore dei clienti che si estrinseca a volte nella redazione di pareri. Quando i pareri stessi sono redatti in forma particolarmente solenne, prendono il nome di parere pro veritate quasi fossero redatti non nell'interesse del cliente, ma nell'interesse equidistante della verità. La tradizione vuole che il parere sia firmato dal titolare dello studio o negli studi associati, da un partner senior. Da più parti è stato osservato che anche i pareri pro veritate sono molto spesso, in realtà, pareri a tesi redatti nell'esclusivo interesse del cliente e non della verità. Se ciò è vero, è altrettanto vero che, normalmente, nel redigere un parere pro veritate, alla cura di una più rigorosa logica giuridica, si accompagna anche uno stile meno apertamente di parte». Però il latinorum convince sempre, specie gli animi candidi, e questo solenne "pro veritate" talvolta è un modo comodo per non assumersi responsabilità proprie, anche se poi si sa - ecco il secondo corno del problema - che questi pareri non mettono affatto al riparo dal giudizio, se mai si dovesse creare, delle diverse giurisdizioni, penale, civile e contabile. Per cui bisogna fare attenzione a non fare i furbetti, rifugiandosi dietro un paravento sottile sottile, tale da far vedere le ombre dietro l'apparenza. Scriveva, anni fa ma resta buono, Vittorio Italia sul "Sole 24Ore": «questi "pareri pro veritate", di per sé, hanno un valore molto limitato. Possono avere un valore le singole opinioni che sono contenute nel "parere", ma in quanto tale, il "parere" è come un mantello, che può ricoprire qualsiasi opinione, anche quella più parziale. Infatti, quello che conta è il "contenuto" del parere. Può avvenire che le opinioni espresse nel parere siano trasfuse nella motivazione dell'atto che è emanato; ma ciò che viene valutato è l'atto emanato, la sua motivazione, e non il "parere". In altri termini, le opinioni contenute nel "parere" non pesano di più per l'autorità intellettuale di colui che lo ha redatto. E in ogni caso, un "parere pro veritate" non può far diventare legittimo un atto illegittimo, né serve a eliminare o diminuire la responsabilità di coloro che sulla base di questo parere - hanno emanato tale atto». Il secondo aspetto è proprio questo e riguarda la propensione ai ricorsi in tutte le sedi e nei diversi Tribunali. Ormai si sale fino alla Corte europea di Giustizia che siede a Lussemburgo e alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, partendo talvolta dal Tribunale sotto casa nelle differenti specializzazioni. Oggi questa storia va per la maggiore: non esiste occasione, personale o collettiva, che non faccia partire l’embolo o - pensiamo agli Appalti - faccia parte di un piano prefissato per rivolgersi a Lei, la Giustizia. Giustizia accusata di occuparsi di tutte le vicende dello scibile umano, ma certo interventismo - nella logica dell'equilibrio di Poteri - deriva non solo dall'interventismo della Magistratura, che pure esiste, ma anche da troppi buchi lasciati da chi dovrebbe occuparsene. Ma peggio ancora certe storture derivano da ruoli che finiscono per confondersi. Ammoniva Piero Calamandrei, uno dei Padri costituenti: «Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra».