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10 apr 2017

Vite parallele da Social

di Luciano Caveri

Non mi sono mai azzardato, anche se mi pare potrebbe ringiovanirmi, di aggiungere alla mia biografia qui sul Sito - che pure dovrei aggiornare sul versante politico perché ferma a puntate precedenti - la dizione "Blogger". Ed invece, poiché scrivo ormai un Blog da tantissimi anni, con implacabile e faticosa cadenza quotidiana, credo che ne avrei tutti i diritti. "Blog" - lo ricordo - è un termine nel linguaggio informatico che indica un Sito Internet in cui l'autore (da lì "blogger") pubblica con una certa regolarità una specie di diario online, in cui propone pensieri, idee, opinioni o filmati e foto, che poi possono essere commentati. Operazione che qui sarà di nuovo a pieno possibile quando completerò il rinnovamento del Sito, che è in corso da un po' di tempo e spero vedrà la luce, dando una rinfrescatina generale (compresa la foto datata che troneggia lassù).

"Blog" - lo aggiungo per chi non lo sapesse - è null'altro che la contrazione dell'espressione "web-log", vale a dire "diario online". Ad inventare l'espressione fu Jorn Barger, un commerciante americano con la passione per la caccia che, nel 1997, iniziò a raccontare di questo suo amore per l'attività venatoria. Due anni dopo la forma accorciata "we blog" fu adoperata per la prima volta da Peter Merholz e da lì si diffuse in modo virale. Questa idea di raccontarsi si canalizza poi nei "Social media", come "Facebook" (2004), "Twitter" (2006) ed "Instangram" (2010), ma ce ne sono ormai molti altri che occupano lo spazio a cavallo tra la vita privata e la dimensione pubblica. Io sono su "Twitter" da alcuni anni: mi piace molto e la partecipazione ha fornito una nuova ala anche a questo Sito, che rimbalza quanto pubblico là. Ho pronto il profilo "Facebook", ma prendo tempo, ben sapendo quanto sia assorbente esserci e anche ben più esposto rispetto al "mare nostrum" di "Twitter". Lo dovrò fare... Leggevo in queste ore - e mi ha colpito - come domenica scorsa una donna siciliana abbia postato per tutto il pomeriggio il racconto di una meravigliosa giornata con foto e filmati, compreso quello del suo compagno, che poi nella notte l'ha uccisa a coltellate. Nulla a che fare con quel ritrattino autocelebrativo, tutto amore e cuoricini, che risultava invece dal racconto pubblico di una giornata meravigliosa, che precedeva tragicamente un terribile delitto che pare già covasse nelle stesse ore in cui si ostentavano buoni sentimenti. E' interessante rimarcare come questa dissonanza fra mondo vero è quello virtuale sia abbastanza normale. Ricordo che, sempre all'inizio degli anni 2000, nacque ed ebbe successo per un certo periodo un mondo virtuale - si chiamava "Second Life" - dove chiunque poteva impersonare virtuale una vita parallela attraverso un proprio "avatar" (una delle reincarnazioni di Visnù, ma la parola in informatica indica un personaggio di fantasia riferito ad un utente). In realtà il caso di cronaca nera ricorda come questa pratica esista anche nei "Social" più tradizionali, dove le persone possono costruire - anche senza ricorrere all'escamotage dell’anonimato - una visione di sé per nulla corrispondente alla realtà. Viene cioè creata una parvenza fittizia in tutto ed in parte, in cui ci si descrive anche diversi da come si è e soprattutto si costruisce una vita appositamente edulcorata per essere più attrattiva, più glamour. Sino ad un certo punto questa situazione appare del tutto innocua, ad esempio con dosi massicce di felicità da esibire o citazioni colte che dovrebbero evidenziare una grande cultura, ma talvolta - basta scorrere certi profili - questo atteggiamento che ostenta una sorta di alterità artificiosa appare come una vera e propria patologia, come una specie di schizofrenia (uso il termine in maniera sicuramente impropria) che crea un personaggio del tutto distante, come il resto della sua vita, da quanto capita nella vita quotidiana. Traggo da un articolo sul tema di Candida Morivillo su "IoDonna" questo pensiero dello psichiatra Paolo Crepet che sul tema ha scritto un libro, "La Trappola". Dice Crepet: «Il narcisismo ha due livelli. Il primo, sano, è l'amore per stessi, che è una componente fisiologica: un po' d'amor proprio fa bene. Al secondo livello, si sconfina nell'eccesso: il narciso patologico crede che il mondo giri intorno a lui, ha un bisogno abnorme di affermazione, apprezzamento, attenzioni, accudimento. I narcisi sono così attaccati a se stessi che perdono di vista l'altro, e il confronto con gli altri è invece essenziale e salutare. Parliamo invece di persone altere, che si sentono superiori agli altri, visti solo in funzione dell'ammirazione, dell'affetto, dell'amore e dell'accudimento che possono loro tributare, e di cui i narcisisti non sono mai sazi». Ecco di conseguenza i "Social": «Queste tecnologie diventano la costante quotidiana dei narcisi senza talento che si fanno bastare la soddisfazione di far vedere dove sono, con chi, come sono vestiti, cosa stanno mangiando, quanti muscoli hanno. I social network hanno affermato la visibilità come misura del valore sono il contrario di J.D. Salinger che scompare, si ritira dalla vita pubblica, ma permane. Avere un riscontro, un feedback, un like, molti followers diventa una dipendenza». Ma l'aspetto che io trovo ancora più interessante è come, tornando alla stortura più marchiana, proprio per la fregola di apparire e di piacere a tutti i costi, si finisca per rendere la propria vita sui "Social" molto più bella e attrattiva di quella reale e questo "effetto vetrina", quando si eccede, non può alla fine che generare una terribile tristezza. Specie se poi la verità appare nelle vesti di un orrendo delitto.