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30 mar 2017

Ponti

di Luciano Caveri

Non sono un buonista e sono allergico a tutte le manifestazioni ipocrite che spesso si fanno con l'ausilio degli ideologismi. Vedo troppo spesso delle persone pie, avvinte dalle loro convinzioni religiose, e poi nella quotidianità - scusate l'espressione forte - sono delle carogne. Idem chi, di ben diverso colore, si appella a valori come la solidarietà in una logica laica, ma poi si vede quanto predichi bene e razzoli male. Per cui - in tutta franchezza e per la mia formazione culturale variegata - spero che si possa credere nella mia personale sincerità se oggi voglio parlare dei ponti. Papa Francesco, solo per ricordare uno dei più illustri che ne ha parlato, dall'alto del suo Apostolato - ma con i modi spicci dei gesuiti - ha detto e ripetuto in altre occasioni: «Dove c'è un muro c'è chiusura di cuore: servono ponti, non muri». In quell'occasione si riferiva proprio ad un muro assurto a simbolo, quel muro di Berlino, caduto il 9 novembre 1989, ed era stato un elemento fisico della divisione ideologica dell'Europa.

Vogliamo giocare con le parole, come spesso faccio curiosando nell'etimologia? L'"Etimologico" dice: "Il latino "pons" appartiene alla tradizione indoeuropea compatta: il significato. originario di "sentiero, via, cammino" si conserva nel sanscrito "panthās", nell'avestico "pantā-" e nell'antico slavo "pǫtĭ", mentre l'antico alto tedesco "findan" (tedesco "finden", inglese "find") continua il significato verbale di "camminare, seguire le tracce" e quindi "trovare"; il greco "póntos" ha assunto il significato di "mare" in un ambiente insulare, dove il mare rappresenta la via ordinaria di comunicazione, mentre la collocazione topografica di Roma sulle sponde del Tevere ha fatto assumere a "pons pontis" il significato di "ponte" in quanto via necessaria di passaggio". Per altro, mi sembrava logico che un Pontefice (che pensavo significasse "uno che fa i ponti") parlasse dei ponti! In realtà la questione, dice l'Etimologico, è più complicata e oggi sembra prevalere questa tesi: "Una proposta accettabile sul piano semantico, se non conclusiva, è stata formulata da Campanile mediante il confronto col vedico "pathikṛt", esattamente omologo di "pontĭfex" in quanto composto da "panthās, sentiero, cammino" e "karoti, fare"; il compito del "pathikṛt" durante i sacrifici era quello di aprire una via, un cammino fra il mondo divino e quello umano, che permettesse al sacrificio di raggiungere la divinità e alla divinità di essere presente al sacrificio. Il latino "pontĭfex" sarebbe dunque un'eredità diretta della sacralità indoeuropea, trapiantata e adattata al mondo romano e infine al cristianesimo". Interessante rimarcare come si conferma che nella nostra umanità si butta via poco e spesso si riciclano anche le parole. A me i ponti sono sempre piaciuti, che fossero antichi (come lo stupefacente Pondel di Aymavilles o il ponte storico di Pont-Saint-Martin) sia che siano figli della nostra epoca (penso al viadotto che attraversa la Valdigne sull'autostrada del Monte Bianco). Quando vado in giro per il mondo i ponti hanno sempre uno sguardo di attenzione, che siano il "Ponte Vecchio" di Firenze, i ponti sulla Senna o quelli di Praga per non dire del ponte di Westminster, dove si è svolto il recente tragico attentato di Londra. I ponti per la comunità valdostana hanno avuto significati incidenti su singole località: pensiamo al ponte di Champdepraz frutto dell'Autonomia nella sua ultima versione di recente rimesso a nuovo o a quello centenario di Introd che venne vissuto come un enorme progresso. Certo il significato dei ponti finisce, dalla psicanalisi alla letteratura, dalla filosofia all'antropologia, per assumere significati vari e strumento per tante metafore. Lo scrittore jugoslavo (quando la Jugoslavia c'era...) Ivo Andrić ha scritto molto sui ponti nel romanzo "Il ponte sulla Drina" e così dice: «E infine, tutto ciò che questa nostra vita esprime - pensieri, sforzi, sguardi, sorrisi, parole, sospiri - tutto tende verso l'altra sponda, come verso una meta, e solo con questa acquista il suo vero senso. Tutto ci porta a superare qualcosa, a oltrepassare: il disordine, la morte o l'assurdo. Poiché, tutto è passaggio, è un ponte le cui estremità si perdono nell'infinito e al cui confronto tutti i ponti di questa terra sono solo giocattoli da bambini, pallidi simboli. Mentre la nostra speranza è su quell'altra sponda». Ogni tanto penso a questa Valle d'Aosta balcanizzata in politica con scontri feroci e troppi ponti spazzati via, che sarebbe saggio ricostruire.