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27 mar 2017

Sui migranti la politica arranca

di Luciano Caveri

Un piccolo prologo in riferimento ai terribili avvenimenti di Londra, svoltisi davanti ad un Parlamento antico e simbolico per lo Stato di Diritto e la sua nascita, che mostrano come la linea dura contro gli islamisti - negatori di nostri valori fondanti - dev'essere la regola e non l'eccezione. Oggi volevo parlare dei migranti, tema assai scottante per la sua incidenza politica, che bisogna affrontare con realismo, senza mai dimenticare i lati tragici e certe commoventi vicende personali. Certo le celebrazioni del "Trattato di Roma", già venate da mille problemi che rendono sempre più instabile il processo di integrazione europea (la "Brexit" del Regno Unito, in lutto per quanto scrivevo in premessa, è stato un clamoroso passo indietro), dovranno fare i conti con questo grosso problema ben presente.

La famosa redistribuzione fra i Paesi dell'Unione dei migranti appare infatti come uno dei fiaschi più evidenti nella logica generale, ma cinica, che quelli che si trovano i migranti sul proprio territorio devono cavarsela più da soli che in compagnia. E l'Italia, terra di sbarchi per eccellenza, ne fa le spese e i contrasti violenti con la Turchia liberticida di Erdogan aumenteranno di certo gli sbarchi sulle coste italiane e tra l'altro si sta andando verso la bella stagione che favorisce il flusso, che comporta anche - questo è un legame con le minacce del terrorismo - quei rischi di infiltrazione di estremisti islamici che ormai si sa essere non una fantasia ma un dato di fatto. In Valle d'Aosta, tanto per fare una breve premessa, il numero ufficiale è di poco più di trecento migranti. Se ho ben capito molti vengono assegnati qui e poi se ne vanno "uccel di bosco", mentre, se è vero quanto mi è stato raccontato, in certi casi altre persone - che finiscono l'iter dei ricorsi e non ottengono lo status di rifugiato - vivacchiano comunque in zona non funzionando il teorico meccanismo di espulsione per mancanza degli accordi bilaterali necessari per farlo. Vero è che su questa storia dei migranti c'è chi ci marcia, costruendo carriere e scenari politici fatti apposta per eccitare gli animi. E tuttavia vale anche l'esatto contrario e cioè chi gioca troppo al pompiere sembra non cogliere fino in fondo l'inquietudine della popolazione, fatta di tante cose. Prima di qualunque fenomeno di xenofobia, che comunque da studi precisi scatta quando una percentuale supera un certa soglia rispetto alla popolazione residente, esistono elementi psicologici di vario genere che influenzano le preoccupazioni. Poi, naturalmente, esiste una legittima curiosità attorno ai meccanismi di finanziamento, visto che alcune inchieste in Italia hanno dimostrato che dove ci sono soldi stanziati per l'accoglienza sulla loro pista si mettono anche personaggi dubbi, che ammorbano il mondo della cooperazione sociale. I dati comunque degli arrivi in Europa sono sempre quelli che fanno testo e sono chiari, attenendoci all'ufficialità: 22mila nel 2012, 60mila nel 2013, 216mila nel 2014, un milione (sì, un milione!) nel 2015. Per capirci in Italia sono arrivati 153mila persone nel 2015, 181.405 nel 2016 (con un incremento del 18 per cento) ed oggi si viaggia verso il dato eclatante dei 250mila entro fine anno, se si viaggia con il numero attuale. La provenienza, per chi sbarca in Italia, è soprattutto Africa: Nigeria (21 per cento), Eritrea (12 per cento), Guinea, Gambia, Costa d'Avorio (7 per cento), Senegal, Sudan, Mali (6 per cento). Partono tutti da quel disastro della Libia, dove a gestire il traffico - ormai confidando sul fatto di lasciare barconi e altri mezzi a chi si occupa dei soccorsi - sono forme di malavita organizzata, che prospera con questo traffico, degno della tratta degli schiavi. La maggior parte sono uomini (71 per cento) e sono cresciuti i minori non accompagnati (16 per cento). Questi dati eclatanti dimostrano la difficoltà di integrazione, ben diversa laddove ci siano delle famiglie. Da notare - e questo fa impressione - che uno solo su venti ottiene il diritto d'asilo per le diverse ragioni previste per legge e si crea dunque una massa di persone che teoricamente non avrebbero diritto di restare, ma - come dicevo - la politica delle espulsioni è di fatto inesistente e questo spinge ovviamente a venire comunque in Italia, perché tanto per riffa o per raffa si resta qui. Anche se, ultimo elemento, l'appeal dell'Italia è minimo e dunque la pressione sulle frontiere verso altri Paesi esiste perché molti vogliono fare fortuna altrove o vogliono ricongiungersi con parenti già istallati in Europa o nel mondo. Ovvio che per chi spera di andare verso gli Stati Uniti ormai è la partita persa, ma anche nell'Unione ci sono - ad esempio in Paesi scandinavi un tempo accoglienti - restrizioni con regole ferree. La politica arranca senza una strategia: di certo a livello internazionale, di sicuro in Europa, di certo in Italia, dove alla fine esiste un dirigismo statale piuttosto goffo e la democrazia locale conta poco nelle decisioni vere, che poi in realtà ricadono e ricadranno sempre di più su Comuni e Regioni, visti poteri e competenze che perimetrano le necessità dei migranti. Questo senso generale di impotenza, condito dalla retorica di chi accoglierebbe tutti senza limiti e confini e di chi, invece, chiede i catenacci alle frontiere e muri di contenimento, creerà prima o poi una sorta di black-out con conseguenze gravi. Davvero non si capisce il senso di questa emergenza epocale?