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17 mar 2017

Il cibo e le culture

di Luciano Caveri

E' stato divertente il cancan creatosi attorno alla fotografia di Silvio Berlusconi in un "Mc Donald's" all'uscita di Milano 2: l'immagine lo ritrae al tavolo mentre guarda interessato il menu con a destra un cameriere che si avvicina a porgergli una bevanda, che si è saputo essere una spremuta d'arancia. Per capire quanto sia incidente sulla nostra psicologia l'associazione con il cibo e il luogo del suo consumo, c'è chi che ha dubitato che si trattasse di un'operazione di marketing per rendere più popolare il Cavaliere, mentre personalmente penso invece che sia stato un avvenimento casuale. Per altro è vero che questo benedetto cibo impegna una parte importante della nostra vita e ognuno ha un suo approccio. Io trovo che ci siano sul tema alcuni aspetti interessanti.

Esiste in questo l'impronta dell'educazione: io sono stato abituato ad essere onnivoro e ad assaggiare qualunque cosa con un aggiunta nel comportamento segnata dal l'appartenenza generazionale, avendo avuto genitori che avevano sofferto la fame durante la guerra, e cioè la logica cui non scappo mai del «bisogna mangiare tutto quello che c'è nel piatto». Aggiungo il fatto che questo fatto di non avere preclusioni sul mangiare e sul bere ha fatto di me un viaggiatore curioso dei cibi locali. Nell'ultima occasione in Oriente mi sono trovato a constatare la crescente mondializzazione nel vasto ristorante dove consumavo i pasti, fra self-service e cuochi che cucinavano in apposite postazioni ti accorgevi della logica della cucina senza precisi confini. A piatti internazionali per antonomasia, di cui fanno parte ormai pasta e pizza, si affiancavano proposte occidentali di vario genere, ma - per accontentare una clientela legata a proprie tradizioni - c'erano diversi corner: da quello thailandese a quello cinese, da quello coreano a quello giapponese. Pancia mia fatti capanna nel tentativo di assaggiare cose mai viste, che dimostrano - sin dalla colazione mattutina e poi negli altri due pasti principali - come l'umanità riesca ad assicurare a tavola una varietà di prodotti incredibile e la sua trasformazione nei piatti più eccentrici. E personalmente cerco di pormi con la stessa filosofia di Slow Food e del suo fondatore Carlìn Petrini: «Ho bisogno di conoscere la storia di un alimento. Devo sapere da dove viene. Devo immaginarmi le mani che hanno coltivato, lavorato e cotto ciò che mangio». Anche per questo amo non solo viaggi in cui ci sia l'addendo della scoperta dei prodotti locali, riempiendo una cornucopia immaginaria - ad esempio per i frutti - di prodotti particolari a seconda della latitudine. Ma trovo che sia molto bello anche, come faccio con gli amici, cercare - con le utili indicazioni di guide e di valutazioni come fa con le sue stelle la storica "Michelin" - di scoprire ristoranti con i loro cuochi che aprano la mente e soprattutto le papille gustative. Ma altrettanto istruttivo, in un cerchio che si allarga dal vicinato sino alla località esotica c'è andare alla scoperta dei mercatini alimentari dove vanno in scena prodotti e persone, dei negozietti di nicchia spesso con proposte singolari e pure delle formule più varie di supermercati dove si trova di tutto e di più. E lì fra bancarelle e scansie che si trova una parte della cultura dei posti che si indagano e anche certi prodotti standardizzati - che fanno di tutto il mondo un paese - se inseriti in contesti originali, dimostrano quanto la stessa cosa si tinga di diversità laddove si presenta. La globalizzazione non sconfigge mai le diverse capacità di espressione dalle stessa umanità.