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03 mar 2017

Sulla riaggregazione dell'area autonomista

di Luciano Caveri

Il frazionismo è una vecchia storia. Si tratta della tendenza in un partito o in un gruppo politico a dividersi in frazioni sino ad addivenire a scissioni o a espulsioni: è sempre stato in particolare un rovello dei Partiti Comunisti e della loro leadership. Scriveva Lenin: «La repressione del frazionismo non è un aspetto fondamentale della evoluzione del partito, bensì lo è la prevenzione di esso». Ma anche allora - come in certi passaggi pur discussi di Antonio Gramsci - c'era chi distingueva fra il dividersi in gruppuscoli come un male e la necessità invece di permettere dibattiti democratici, che sono altra cosa.

Ci riflettevo rispetto alla situazione del mondo autonomista in Valle d'Aosta , compresa la recente nascita di "Mouv'", che ho contribuito a costituire. In un periodo di antipolitica, ci sono alcuni peccati mortali. Il primo, che mi riguarda di più, è che - essendo stato molto sulla scena politica - dovrei essere una specie di "appestato" e dar lo spazio al nuovo che avanza. Trovo, invece, che sia legittimo poter dare il mio modesto contributo anche per chi verrà, perché senza esperienza ogni formazione politica è destinata a non avere radici. In qualunque lavoro si cerca sempre qualcuno che abbia accumulato competenze, mentre in politica c'è chi predica il nuovo - talvolta disorientato alla prova dei fatti - come se fosse una panacea. La seconda obiezione è che ogni nuovo raggruppamento politico suppletivo indebolisce l'area autonomista e questo avverrebbe in sostanza, in legame con quanto osservato prima, a causa di ambizioni personali, per farsi un partitino che occupi uno spazietto, che sortisca una poltroncina. Trovo queste considerazioni deprimenti, perché con questa logica uno dovrebbe far finta di niente ed inghiottire qualunque rospo. Quanto non è avvenuto nel mio caso, quando il principale partito autonomista, l'Union Valdôtaine, è diventato sempre più in modo esclusivo preda di una sola persona, chiusa al dialogo ed occupato da ben altro che da uno sforzo corale per il bene della comunità. Questa personalizzazione della politica, legata ad un solo leader taumaturgo e onnisciente, l'ho poi ritrovata altrove ed allora mi sono chiesto - non da solo, per fortuna - se potesse esistere una riaggregazione dell'area autonomista, partendo da un elemento nuovo e cioè una forma di organizzazione e di confronto interno, senza inventare l'acqua calda, che potesse dar vita ad un gruppo dirigente in cui i "tenori" della politica non pretendessero fedeltà esclusiva al loro pensiero. Allargare il cerchio nelle decisioni topiche vuol dire condividere davvero la responsabilità delle scelte e fare fronte comune. Sapendo come i confini del perimetro delle forze autonomiste siano oggi molto flou, perché c'è chi ha scelto di militare in quest'area solo per una logica opportunistica, piacendo il prodotto politico all'elettore, lo scenario si popola di tarocchi delle idee originarie e questo rende appunto i contorni poco chiari e il rischio crescente di avere scarsa solidità nella tenuta dell'Autonomia. So che chi cerchi di riformare l'area autonomista, anche con le giuste alleanze perché c'è chi seriamente discute questi argomenti da tempo ormai, rischia di essere accusato di «cercare la quadratura del cerchio», cioè tentare l'impossibile poiché il problema da risolvere è troppo difficile e la ricerca di una soluzione potrebbe risultare soltanto mera illusione. Ma credo che valga la pena di provare per rispondere ad un quesito di fondo: se è vero che bisogna unire le forze, anziché disperdersi in molti rivoli perché questo dovrebbe significare sudditanza verso Caio o Sempronio? Oppure altro interrogativo: fatto salvo il fatto che la Politica è fatta anche da personalità che devono avere capacità di guida, questa logica è incompatibile con una sana discussione sui problemi reali da risolvere? E' davvero da dare per scontato che una "réunification" debba avvenire senza pensare alla ratio dell’organizzazione politica, riformandola alla radice per evitare che domani si manifestino mali oggi ben visibili? L'unanimismo, cioè la tendenza a raggiungere un'unanimità formale, rinunciando a chiarire sostanziali diversità o divergenze, l'ho vissuta anche nell'Union Valdôtaine Progressiste ed ho fatto male ad affidarmi della mia naturale tendenza ad avere fiducia e a condividere. Oggi bisogna statuire modi e metodi che evitino che si dica una cosa e se ne faccia un'altra, trovandosi anche a fare la figura del «cattivo» (per non dire «traditore») e mi sembra ingiusto per chi invece vuole solo pluralismo e discussioni franche e decisioni condivise e che soprattutto non siano state in realtà prese in luoghi diversi e successivamente sottoposte e imposte con un simulacro di confronto. Con la beffa di appellarsi per quanto deciso altrove nel nome del centralismo democratico e cioè l'accettazione incondizionata per tutti su quanto votato a maggioranza. Capisco che possa essere considerata una pia illusione, ma almeno provarci mi dà un senso di serenità.