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19 feb 2017

Il giornalismo da decano

di Luciano Caveri

Passano gli anni, si susseguono le stagioni e ogni tanto legittimamente faccio il punto della situazione e la cosa più importante resta per me il mio lavoro vero, quello del giornalista. Anche se la Politica è un diavoletto che mi punzecchia sempre con il suo forcone e proprio in questo periodo vivo il piacere, con "Mouv'", di un momento nascente. Per altro entrambe le mie passioni le ho sempre vissute in un felice bipolarismo professionale. Oggi di conseguenza mi sento un decano per tutte e due e sono ancora ben distante da certe magari auspicate - da altri che rosicano - rottamazioni. Comunque sia, il giornalismo l'ho sempre tenuto vivo anche quando ero politico a tempo pieno. Certo ho avuto la chance di aver vissuto pagine bianche anche assai originali, come l'impagabile effervescenza della stagione delle Radio e delle Televisioni private, stagione che avrebbe fatto maturare anche un somaro.

Nella mia vita sono stato anche per alcuni anni - con viva soddisfazione - presidente dell'"Associazione stampa valdostana", il Sindacato dei giornalisti che fu battistrada, andandosene dalla "Subalpina" di Torino, del successivo distacco dell'Ordine, per la cui nascita fu persino necessaria una piccola modifica di legge che presentai come deputato. La logica interregionale non aveva senso, considerando di fatto la Valle d'Aosta come una Provincia del Piemonte, e dunque era bene darsi gambe proprie, anche se nei primi tempi ci fu chi contestò questa autonomia professionale che ritengo logica. Allora eravamo pochi professionisti, oggi siamo in tanti e ho il triste record - anche perché diedi l'esame di Stato da giovanissimo rispetto alla media - di essere il più vecchio, come anni di iscrizione all'Albo. Ma paradossalmente, rispetto agli esordi quando eravamo quattro gatti, la professione è meno tutelata contrattualmente e le prospettive di lavoro sono incerte. All'epoca, ad esempio, molti di noi ebbero la chance di entrare in "Rai", sbocco ormai di fatto off-limit per i giovani locali e lo stesso vale in parte per altre testate, come "La Stampa" e l'"Ansa". Radio e televisioni private intanto sono sparite come redazioni vere e proprie, ed i settimanali cartacei soffrono la crisi dell'editoria e gli sbocchi sicuri si sono affievoliti. Gli uffici stampa sono come Arlecchino con soluzioni varie con una legge regionale spesso disattesa nel pubblico, per non dire della solita anarchia nelle Partecipate. Unica novità l'informazione via Web, che soffre però di un male complessivo per tutto il mercato informativo, vale a dire l'asfittico introito derivante dalla pubblicità e la mortificante lotta al ribasso per servizi richiesti dal comparto pubblico. Questi cambiamenti, che sono un bradisismo che mai si arresta proprio per via dei cambiamenti a spron battuto, rendono tutto assai incerto ed oggi non so bene cosa consiglierei a questo nuovo giornalista che avanza. Certo gli tocca tribolare per avere certezze e contratti seri e la sua mole di lavoro è aumentata a dismisura per la multimedialità che lo obbliga a giostrare diversi strumenti. Un lavoro, se lo si vuole fare con scrupolo, sempre più difficile ed, oltretutto, sottopagato. Viviamo in un mondo digitale che rende il giornalista una mucca da mungere, che perde la paternità delle notizie e frustra le esigenze di un equo compenso e di un giusto riconoscimento. Ma raccontare storie, persone, idee, speranze e potersi cimentare con commenti è giudizi resta un'esperienza unica per tenere desta la propria, ammesso e non concesso che ci sia, intelligenza.