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26 gen 2017

Appennino: fra fatalità e responsabilità

di Luciano Caveri

Seguo come tutti quelli che hanno un cuore gli eventi drammatici e concatenati nello scenario da tregenda di quella vasta area del Centro Italia, che sembra essersi trasformata in un buco nero di sfortune. Come se davvero esistessero delle maledizioni e vengono in mente certi accanimenti evocati in antiche leggende. E questa storia dell'hotel "vip" travolto dalla valanga killer pare essere solo la punta clamorosa di un iceberg pieno di storie più piccole ma altrettanto agghiaccianti, messe in fila sin dai mesi scorsi, quando la terra ha cominciato a tremare. Una vicenda - quella di Rigopiano - che è stata dapprima choccante e poi, grazie alle persone ritrovate vive, piena di colpi di scena ormai inattesi che oggi fanno evocare sui giornali il miracolo, anche se resta la violenza devastante dei fatti ed il valore esemplare di esseri umani colpiti d'improvviso senza che ne possa trovare una ragione plausibile. Oltretutto in una dolorosa lotteria fra vivi e morti.

Confesso, più in generale che, a fronte di certi discorsi che sento, mi piacerebbe essere lì come vecchio cronista radiotelevisivo per evitare svarioni in certi racconti su questioni concernenti la montagna e le sue insidie, vista la competenza che chi ha vissuto e lavorato in Valle d'Aosta può vantare. E vorrei dire la mia anche come politico che si è trovato in passato confrontato a certe emergenze naturali in zona montana e vien da chiedersi come siano stati organizzati e con quale efficacia le misure di risposta alle emergenze. E certe critiche non mutano la stima per chi opera sul posto, ma pesano su chi ha coordinato tutto dal terremoto in poi sino alle recenti bufere di neve. Anche se - ad essere onesti - da distante, in fondo, è difficile giudicare, con completezza di elementi, tutte le vicende: dalla prevenzione contro i terremoti alla macchina dei primi soccorsi, dai meccanismi di ricostruzione sino all'arrivo sfortunato della neve abbondantissima sull'Appennino, buttando a terra chi già era in ginocchio provato da un sisma infinito e da promesse di rapidità d'intervento in buona parte dimostratesi come bolle di sapone. Quel che è certo è la vastità delle sue molteplici conseguenze a diversi livelli di gravità e la serenità purtroppo non è certo dietro l'angolo e certa retorica dolciastra non può nascondere difficoltà e incertezze. Ad ascoltare la straordinaria no-stop di "Radio1", ma anche leggendo certi approfondimenti sui giornali, qualche impressione l'ho avuta. A naso direi che non esisteva nessun Piano preordinato, come se le nevicate rappresentassero un'eccezione, quando invece ciò dovrebbe far parte della normalità per quelle popolazioni una montagna che è spina dorsale dell'Italia. Ci sta l'avvenimento monstre che supera ogni peggiore previsione (anche se i bollettini meteo avevano annunciato la gravità delle precipitazioni!) e pure una ruggine nel sistema a causa di tante stagioni senza neve, ma certi ritardi, disorganizzazioni e goffaggini non sono giustificabili e spiace notare come non a caso colpiscono quelle zone di montagna considerate da politica e burocrazie dei fondovalle come zone marginali e come tali trascurabili ordinariamente e questo implica endemica incapacità di prevedere e poi affrontare le emergenze. Pensiamo ad "Enel" e alle altre società elettriche nate dal suo spezzettamento ed all'assenza di investimenti e manutenzioni sulle linee e negli impianti: con l'esito che troppo facilmente si manifestano black-out nell'erogazione di un elettricità. E lo stesso vale per l'incuria e la sciatteria nei servizi di telefonia, per non dire del dedalo per lo sgombero neve, assegnato anche lì con certe scelte di ribasso nelle gare, che poi condizionano il servizio in caso di reale necessità, figurarsi poi con un evento memorabile. In modo nudo e crudo bisogna capire - l'ho già detto e lo ripeto - se si vuole o no immaginare un futuro per quella parte ancora salvabile della montagna appenninica, altrimenti resteranno solo i ricordi di un terremoto che segnò una volta per tutte la morte civile di antiche comunità.