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11 gen 2017

Migranti: regole contro il caos

di Luciano Caveri

Credo che i timori sull'arrivo dei migranti in quei Comuni della Valle d'Aosta - come Donnas e Saint-Vincent, che finora non li hanno avuti sul proprio territorio - non siano sintomo di razzismo. Bisogna sempre pesare le parole e farne un uso ragionevole e adoperate certe espressioni non maschera le difficoltà nel fronteggiare il fenomeno. La verità è che l'arrivo dei migranti in Italia ha pesanti vizi di fondo e più il tempo passa ed il rubinetto degli arrivi non si chiude affatto ed in più ci si troverà di fronte ad una situazione di emergenza crescente. E le emergenze senza orizzonte certo su durata ed intensità creano difficoltà. Pensiamo al discorso che tutti ormai fanno di «aiutiamoli a casa loro». Si tratta, in tutta evidenza, di dichiarazioni ipocrite, non essendo corrispondenti alla realtà, che riguardano le due tipologie di migranti.

La prima, quella che ha diritto all'accoglienza vera e propria, riguarda coloro che - dopo una lunghissima trafila - ottengono il diritto d'asilo perché in vario modo in pericolo nel loro Paese di appartenenza. Su questo che fare? Esiste oggi una diffusione della democrazia e dei suoi principi di libertà anche in Paesi dove questo non c'è oppure semmai la situazione al posto di migliorare sta persino peggiorando? L'impressione è proprio questa: che il diritto internazionale, in barba agli infiniti documenti pomposi in merito, non stia agendo come avrebbe dovuto e dunque cresceranno ancora di più coloro che - sentendosi perseguitati - arrivano in Europa e lo fanno con meccanismi che alimentano le Mafie, che guadagnano su questa sorta di tratta della disperazione. Naturalmente non è facile, per le nostre burocrazie, discernere con esattezza chi abbia diritto o meno, perché immagino sia improbo ricostruire le storie personali, mancando anche sistemi di identificazione che garantiscano l'identità e poi sul diniego si prende tempo attraverso i ricorsi alla giustizia amministrativa. Vi è poi un secondo caso: quelli che sono migranti economici, che vengono da noi alla ricerca di una vita migliore, svuotando spesso i Paesi d'origine di risorse umane che sarebbero utili per un futuro migliore. Anche in questo caso: forse che la povertà sta regredendo nel Mondo? I finanziamenti della parte ricca del Pianeta affluiscono e la cooperazione allo sviluppo funziona? Tutto, tranne poche eccezioni, conferma che la crisi morde e dunque la gente fugge per necessità. Ma è difficile reagire, perché l'accoglienza ha davvero un limite: ad esempio i Paesi scandinavi un tempo molto aperti, si stanno chiudendo a riccio e domandano elementi d'integrazione veri, come l'obbligo di apprendimento del contesto della società che li accoglie soprattutto la conoscenza della lingua del Paese. Ma esiste in Italia il problema che i respingimenti di chi non ha diritto all'asilo non funzionano e rimpatriare quelli che alla fine si configurano come clandestini avvengono raramente sia perché molti diventano "uccel di bosco" sia perché le Nazioni da cui partono non li vogliono indietro. Da notare che nei due flussi - e questo è giusto che preoccupi - si insinuano terroristi dell'integralismo islamico e questo non è un sospetto ma la realtà. Lo Stato ha appaltato i meccanismi di accoglienza e soggiorno in prevalenza al mondo cooperativo o meglio della cooperazione sociale. Anche lì c'è di tutto: associazioni meritorie che non hanno davvero scopo di lucro, ma ovviamente hanno dipendenti e pure volontari che in qualche modo vanno retribuiti. E c'è poi un mondo, ben noto, di cooperative sociali che sono in realtà paravento di imprenditori veri e propri che scelgono questa formula per i vantaggi che ne derivano. La mia impressione è che prima o poi su questo esploderà qualche enorme scandalo, di cui si è già avuta eco nelle vicende della cooperazione fasulla legata all'inchiesta su "Roma Capitale" con i migranti considerati snodo di un grande affare economico. Intendiamoci: non esiste nulla di male se questa attività viene svolta in una logica di mercato, ma allora bisogna distinguere fra cooperative sociali e associazioni caritative vere e quelle che invece sonno in realtà società mascherate. Sono temi non facili, perché oltretutto non ci troviamo di fronte ad una situazione cristallizzata, ma di fronte ad un flusso continuo che accrescerà l'emergenza, che poi - per una serie di ragioni giuridiche a livello europeo - pesa di più sull'Italia come Paese di prima accoglienza per via del fatto che o sulle spiagge sul Sud o attraverso la rotta balcanica noi siamo la porta d'Europa privilegiata per gli ingressi. Nel caso valdostano poi - e mi si deve dimostrare la casualità, pensando che le funzioni prefettizie, unico caso in Italia, sono in capo al presidente della Regione - arrivano per ora prevalentemente giovani maschi e non famiglie: questo, oltre al fatto che qui in moltissimi non ci vogliono stare perché si sentono "puniti" per la destinazione, questa selezione crea preoccupazione per il loro inserimento e per la famosa integrazione. Molto più facile che ciò avvenga con nuclei familiari, nel caso in cui poi ottengano lo status di rifugiati e come tali destinati a prospettive di lungo periodo. Per cui che i sindaci dicano la loro senza rassegnazione ed in molti ricordino che rifugiarsi dietro il buonismo o agli ideologismi conta davvero poco: è necessario con le popolazioni locali di essere chiari e non rinviare ogni scelta allo Stato distante o all'Europa cattiva, perché poi tutto in realtà ricade nel modello attuale sulle comunità locali, che devono capire bene che cosa avviene, perché è nell'ignoranza dei fatti e delle prospettive che alberga l'incomprensione che può persino sfociare nella xenofobia.