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04 gen 2017

L'europeismo all'angolo

di Luciano Caveri

La grande politica e la politica locale sono pezzi di diversa grandezza nel puzzle del nostro essere dei cittadini. E questo serve ad evitare il rischio che la politica valdostana sia chiusa nel proprio guscio, come una lumaca convinta della robustezza della casetta da cui è riparata. Invece bisogna avere occhi e orecchie per vedere e ascoltare quanto avviene attorno a noi, perché il vecchio slogan "maîtres chez nous" non vuol affatto dire che questo possa avvenire in un logica di vieto provincialismo, segno di arretratezza. Prendo il coraggio a due mani e scrivo dell'Europa, ben sapendo che nuoto controcorrente, perché chiunque oggi tenti di lanciare un messaggio europeista lo fa a proprio rischio e pericolo. L'Europa, anche per gravi responsabilità proprie, è avvertita come un'entità politica contraddittoria, da una parte troppo distante dai cittadini e dall'altra eccessivamente invasiva dei poteri degli Stati membri e delle loro democrazie locali.

Scontenta a destra, a sinistra e al centro e l'ostilità è diventata utile per chi cavalca populismi e demagogia, scegliendo come uno dei capri espiatori proprio l'Unione europea. E ciò avviene un'epoca di notizie false che assurgono, in catene di Sant'Antonio sui "social", a verità cristallina. La coscienza europeista non è cresciuta e la cittadinanza europea e rimasta per i più un ammennicolo, come fosse un vuoto a perdere. L'Euro, simbolo di integrazione per eccellenza, è diventato nella vulgata simbolo di una nuova povertà «per colpa dell'Europa». E il refrain «lo chiede l'Europa» è diventato l'alibi buono per coprire tutto, come dimostrato dal vessatorio e tutto italiano nella sua impostazione "Patto di stabilità" che ha strangolato Regioni e Comuni. Neppure l'emergenza economica e la minaccia globale del terrorismo hanno spuntato le ali all'antieuropeismo. Ora con la Russia di Vladimir Putin, con gli USA di Donald Trump, con la Cina di Xi Jinping avere una politica continentale sarebbe una rassicurazione ed invece siamo ridotti ai minimi termini. Per la Valle d'Aosta, al di là dell'utilità dei fondi comunitari in epoca di finanze ridotte da un riparto fiscale martoriato dai tagli (in Valle però molti li evocano senza sapere bene cosa siano e come si adoperino), l'Europa ha alcune valenze che devono essere chiare. Anzitutto nei Trattati europei esistono armi difensive per chi volesse attentare alla specificità politica e amministrativa della Valle d'Aosta e al suo particolarismo linguistico e culturale. Vi è poi una logica di sistema di alleanze con Autonomie speciali europee e popoli ad esse associati con cui lavorare contro le spinte centralistiche statuali. C'è ancora da evocare l'importanza di abbattimento di frontiere insita nel progetto comunitario che consente alla Valle quel rapporto naturale con i vicini al di là delle Alpi: non sono solo scambi nel solco della tradizione, ma esiste una vasta gamma di apporti economici da sfruttare. Infine appartengo ad una generazione che ha creduto e crede nell'Europa perché ci sono altre chances: penso alla macroregione alpina e alla sua logica politica e alle politiche per le montagne in Europa attraverso quella forza insita nella cooperazione territoriale. Insomma: per i valdostani tradire le speranze europeiste significherebbe tradire quella logica federalista che qui è stata elaborata per anni e che, per quanto a rischio di diventare un'immaginina da presepe più che un impegno reale, non bisogna perdere. Non significa affatto difendere l'indifendibile dell'Europa attuale, ma lavorare per cambiare: il ritorno dei nazionalismi e degli Stati nazionali divisi e rissosi sarebbe una sconfitta e un'involuzione.