Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
27 dic 2016

Il marcio a Roma e Milano

di Luciano Caveri

Non ho particolari elementi originali per commentare gli avvenimenti che investono in queste ore una parte della politica italiana, ma la lettura delle notizie è piuttosto esaustiva. Mi riferisco anzitutto ai fatti di Milano, dove il sindaco del centrosinistra Beppe Sala è stato inquisito per vicende concernenti "Expo" (da cui spunteranno - temo - altre brutte storie) e di conseguenza si è autosospeso (?), neanche fosse già stato rinviato a giudizio. E poi a Roma, dove - dopo le dimissioni dell'assessore Paola Muraro per l'"affaire rifiuti" - c'è stato ora l'arresto di Raffaele Marra, uomo chiave dello staff del sindaco "Cinque Stelle", Virginia Raggi, malgrado il suo tentativo di spacciarlo per un dipendente qualunque.

Certo esiste una sorta di continua competizione fra le due città, che sembra - in modo grottesco - toccare anche gli interventi della Giustizia nelle due metropoli, così distanti sotto molti profili ma così vicine, come avvenuto per questo colpo secco alle due Amministrazioni. Eppure oggi sono entrambe un simbolo: Sala, pur venendo dalle file del Centrodestra, è stato uno dei pochi vincenti alle elezioni, nel solco del renzismo, e non a caso il "sì" lì ha vinto anche per la morbidezza di parte della sinistra della Sinistra meneghina, altrove per il "no"; la Raggi - praticante nello "Studio Previti" e dunque già sospettata di legame di continuità con il passato - è diventata l'immagine di un successo per Beppe Grillo e il suo Movimento, per altro proprio nella Capitale molto diviso da forti lotte intestine. Come in copioni già visti da chi - come chi vi scrive - ha seguito dal di dentro (ma mai inquisito, meglio precisarlo, per evitare errori nei ricordi) le vicende di "Tangentopoli", ci si chiede dove sia il confine fra poteri, quello della Magistratura e quello della Politica (esecutivo e legislativo). Sapendo che proprio la Storia, compresi i fatti che si svilupparono dal 1992 (che ha dato vita ad una fiction allo stesso titolo che ho seguito, ma che è parsa caricaturale rispetto al clima reale), ci insegna che di invasioni di campo ce ne sono state da una parte e dall'altra. Ma la sostanza è che, pur con diverse tipologie, ci accorgiamo nella cronaca quotidiana di come sotto la superficie che pareva in parte bonificata ci sia invece, nel sottosuolo, un mondo che è rimasto tale e quale fatto di irregolarità e reati più o meno gravi. Come se certe lezioni, passata la bufera, non fossero state per nulla apprese, oltretutto con la sgradevole impressione di un'Italia a macchia di leopardo con zone dove gli inquirenti persino esagerano nella minuzia di ricerche di qualunque notitia criminis e luoghi dove l'elastico si è così allungato da temere che si sia sbracato nelle logiche di controllo, come se ci fosse una rassegnazione all'agghiacciante «così fan tutti»! E ci si trovi di fronte al vecchio interrogativo, posto già nelle "Satire" di Giovenale, nel primo secolo d. C.: «chi controlla i controllori?». Certo - e naturalmente il ragionamento diventa sempre più astratto rispetto agli attuali fatti di cronaca - far politica è sempre più arduo, lo è per le oggettive difficoltà di Amministrazioni sempre più complesse con la "spada di Damocle" delle diverse giurisdizioni, compresa quella Corte dei Conti che colpisce in modo diretto il portafoglio anche quando non c'è nulla di penalmente rilevante. Ma certo in Italia meccanismi di accesso (o ritorno in politica) sembrano non avere filtri sufficienti sia per la qualità del personale politico, spesso privo di quelle nozioni che servono a non farsi mettere nel sacco, sia di esclusione di chi, invece, entra scientemente in politica per fare gli affari propri. Tema vecchio quanto il mondo quello di chi mette "la mano nella marmellata", ma che appare irrisolto: a differenza dei Paesi più civili dove basta poco per finire nel dimenticatoio ancora prima che in galera, mentre da noi - Paese perdonista e smemorato - troppo spesso c'è chi torna facilmente sul "luogo del delitto" e, in cuor suo, se la ride dei politici onesti, considerati per altro da una parte di opinione pubblica come dei fessi che non si approfittano della loro posizione. Esagero? Non credo proprio e alla fine non è questione di creare autorità come l'"Anticorruzione" (qualcuno potrebbe dire a Raffaele Cantone di piantarla con interviste e convegni?) o corpi speciali che vigilino occhiuti su qualunque pratica, basterebbe maggior controllo sociale e severità da parte di chi, alla fine, i politici (ed il loro entourage) li sceglie con il voto e farebbe bene a vigilare su qualità, competenza e onestà degli eletti, magari grazie a sistemi elettorali che avvicino eletto ed elettore. Anche se purtroppo non è sempre sufficiente, specie laddove la cultura politica e il senso civico sono a rischio baratto.