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17 nov 2016

La Jeune Vallée d'Aoste bene comune

di Luciano Caveri

In politica ognuno, nel limite del lecito, fa quello che vuole: questa è la regola aurea che distingue una democrazia da altri sistemi istituzionali in cui gli spazi di libertà sono ristretti. Per cui è con molto garbo e rispetto che scrivo quest’oggi di questa scelta della Lega in Valle d'Aosta - se ho capito bene dalla lettura dei giornali, non avendo partecipato alla presentazione - di far rivivere, a beneficio dei giovani leghisti locali, la "Jeune Vallée d'Aoste". Nella sostanza quella sigla prestigiosa del passato finisce sotto la bandiera verde della Lega, ovviamente trasfigurandosi, non potendo essere altrimenti nell'epoca attuale, perché quella annunciata non è né una scelta filologica né museale, ma si tratta di un'arma per la battaglia politica contemporanea dal significato poco simbolico e molto pratico.

Nessuno oggi è per altro titolare di quel marchio, per cui non si discute della legittimità di impadronirsi del nome dato novant'anni fa, quanto sull'opportunità dell'operazione, anche se fatta - e non ho motivo di discuterne - in buona fede a beneficio del posizionamento sullo scacchiere della politica valdostana per l'effetto di suggestione che immagino si ritenga che questa risurrezione dalle ceneri abbia ancora. Credo di poterne scrivere, perché della "Jeune Vallée d'Aoste" fecero parte due miei zii, Antoine (utile in particolare per i rapporti con i comunisti) e Séverin Caveri ed anche mio nonno René Caveri sapeva tutto (scriveva di lui Émile Chanoux, riferendosi a Séverin minorenne: «Dans tous les cas M. l'ex Préfet Caveri est avec nous d'idée tout comme son fils. Le fils Caveri, et ce pour votre règle, a des idées libérales en politique et est un antifasciste prononcé»), mentre sua moglie, mia nonna, Clémentine Roux - molto attiva nel mondo cattolico - si occupò della parte femminile dell'organizzazione. Non lo dico per prendermi delle medaglie che non mi spettano, ma perché so di che cosa parlo. Traggo una sintesi dal sito della "Fondation Chanoux": "La Jeune Vallée d'Aoste è un "groupe d'action régionaliste" fondato il 22 marzo 1925 su iniziativa dell'abbé Joseph-Marie Trèves intorno al quale sono riuniti sin dall'inizio Émile Chanoux, allora studente universitario, il dottor Joseph-Marie Alliod e il segretario comunale Rodolphe Coquillard. A questi si aggiungerà un piccolo gruppo di giovani che si proponevano di «soutenir et défendre les droits, les traditions, la langue et les institutions de notre Région Valdôtaine» (articolo 2 dello statuto). Gli obiettivi del gruppo sono più chiaramente enunciati nell'appello lanciato a tutti i valdostani: «Notre Vallée d'Aoste piétinée et violée dans ses droits et dans ses traditions les plus sacrées a besoin de l'appui de tous ses enfants. Jusqu'ici les divers partis politiques ne nous ont donné, à ce point de vue aucune satisfaction réelle. C'est pourquoi nous faisons appel à tous nos amis afin qu'il se crée un groupe valdôtain d'action régionaliste absolument étranger à tout parti politique, ayant pour buts. D'obtenir du gouvernement la reconnaissance de nos droits régionaux et, par conséquent, l'annulation de toutes les dispositions contraires prises jusqu'à ce jour; De s'insurger contre toute nouvelle violence de la part du gouvernement ou de ses fonctionnaires à l'égard de ces mêmes droits régionaux; De maintenir, à tout prix, l'usage du français dans la Vallée d'Aoste; De persuader l'opinion publique Valdôtaine (et non Valdôtaine) de la nécessité que la Vallée d'Aoste se constitue en région administrativement autonome, dans une future décentralisation administrative, nécessité consacrée par ses caractères historiques, ethniques, linguistiques et topographiques». La Jeune Vallée d'Aoste fece un'intensa azione di propaganda, pubblicò brochures ed un Chansonnier valdôtain, organizzò riunioni ed aiutò la "Ligue valdôtaine" a organizzare scuole serali di francese dopo la soppressione delle scuole di villaggio. Questa azione regionalista e antifascista le attirò ben presto l'ostilità del regime fascista sempre più repressivo e ben presto dovette trasformarsi in un'associazione semi clandestina. La sua attività andò scemando per poi interrompersi con la morte del suo fondatore e capo, l'abbé Trèves, il 21 giugno 1941". Sappiamo bene come in molti confluirono nella Resistenza o proseguirono altrimenti gli ideali dell’Associazione. Come si capisce, insomma, questo gruppo, di cui fanno parte intelligenze vecchie e nuove che torneranno poi nella Storia valdostana, nasce, si sviluppa e muore nella temperie del periodo fascista, dando una serie di messaggi che - applicati alle diversità delle epoche - mantengono una loro freschezza, per cui non a caso in tanti - me compreso - si sono rifatti a certi pensieri e anche a quel proselitismo, già utile allora per mantenere viva una fiammella di libertà di pensiero in un’epoca in cui l’adesione conformistica - scelta o subita - al regime mussoliniano diventò la regola largamente accettata dalla popolazione valdostana. E ciò nobilita ancora di più chi coltivò tra mille difficoltà e talvolta camuffamenti (come la famosa tessera di adesione al Partito Nazionale Fascista dello stesso Chanoux) la valdostanità in chiave antifascista, lasciando intravedere una luce dopo il buio. E' giusto che questo patrimonio di tutti, compreso purtroppo anche chi in campo autonomista ha fatto finta di aderire a certe idee per spirito retorico facendo poi carne di porco in politica di certi principi, diventi appannaggio di un partito come la Lega, il cui spirito federalista è stato per altro largamente annacquato da logiche populiste e alleanze con persone come Marine Le Pen o gruppi come "CasaPound" che affondano le loro radici nel neofascismo? Lo dico senza spirito polemico sia perché la Lega era stata comunque attesa al varco con speranze poi risultate disattese da chi crede nel federalismo sia per rispetto a chi agisce in Valle su di una linea che immagino non possa coincidere con la visione macroregionale che va per la maggiore nella logica padanista e che certo per la Valle sarebbe una prospettiva scura e degradante. Resta, al di là di tutto, un invito al dialogo e alla riflessione per evitare che una memoria storica collettiva, che è un bene comune, si degradi attraverso un suo uso di parte.