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10 ott 2016

Aosta in fondo al pozzo

di Luciano Caveri

Il punto di partenza è indiscutibile: ogni cittadino valdostano, qualunque sia il suo Comune di residenza, guarda con interesse ai destini politici e amministrativi della città di Aosta, chiamata in patois "la Veulla". Ciò esprime quel senso di affezione alla Capitale regionale, che è l'unico agglomerato urbano propriamente detto rispetto alle ridotte dimensioni degli altri paesi valdostani. Ma al motivo sentimentale e pure storico si accompagna la necessità che tutto funzioni bene in una città dove si concentrano molti servizi generali, che sono a beneficio della Regione intera: onori ed oneri di chi dirige Aosta dagli storici e prestigiosi uffici dell'Hôtel de Ville in piazza Chanoux. Una responsabilità politica rilevante per chi sappia interpretare con efficacia il ruolo di Primo cittadino.

Nel maggio dello scorso anno, a governare la città arrivò un'aggregazione autonomista allargata al Partito Democratico (protagonista di un memorabile voltafaccia), come prova generale di un successivo allargamento della Giunta regionale presieduta da Augusto Rollandin per stabilizzare la sua risicata maggioranza. Il leader unionista cedette la poltrona di primo cittadino in mano all'Union Valdôtaine al PD nella persona di Fulvio Centoz, avvocato quarantenne residente a Charvensod, dipendente regionale ed al tempo ancora sindaco di Rhêmes-Notre-Dame, che passò da un piccolo Comune montano ad Aosta. A distanza di tempo, appare ormai chiaro come una parte di Union Valdôtaine Progressiste volesse già profittare del passaggio per saltare sul carro del vincitore, com'è avvenuto in Regione un annetto dopo, ma il tentativo non riuscì allora ai suoi ideatori che rinviarono solo l'embrassons-nous, senza mai fare chiarezza sulle reali intenzioni di un percorso nato a tavolino e purtroppo arrivato al traguardo, ottenendo il record regionale dei voltagabbana. La storia - uso la minuscola apposta - illuminerà la scena, svelando tutti i "perché", sgombrando il campo da proclamati nobili intenti del genere «per il bene della Valle», cui penso non creda più nessuno, a conti fatti. Ma torniamo al punto, perché ormai certe cose sono per me in naftalina: oggi si può dire, lasciato il tempo necessario per evitare giudizi affrettati, che l'operazione Aosta sia stato un fallimento e la città stia pagando le conseguenze di scelte sbagliate, anzitutto nella figura del sindaco, dimostratosi non all'altezza del suo compito, malgrado il glamour del "renziano doc". Sin dall'inizio si sono inanellati errori e gaffes che hanno dimostrato - dalla vicenda della Segretaria comunale all'appalto sui servizi sociali, dalle manifestazioni estive al bando sul mercatino di Natale e potrei continuare - un dilettantismo amministrativo e una totale mancanza di una visione politica e programmatica, compresi i goffi tentativi di affermare indipendenza dal vero dominus, che resta a Palazzo regionale. Ogni volta che si è cercato di sgarrare, poi c'è stato l'umiliante ritorno all'ovile sotto il controllo del buon pastore, che come spesso fa lascia la corda per impiccarsi per poi intervenire con logica salvifica, come un piromane che si fa pompiere. Insomma, la situazione aostana ha un colpevole che poi diventa accusatore, come se altri avessero scelto sindaco e maggioranza: un capolavoro nel solco di un metodo che evidentemente funziona per forme generalizzate di stordimento. Centoz, dal canto suo, sorride, malgrado sia sulla scomoda graticola già opportunamente unto e abbia ormai molti della sua squadra che non vedrebbero l'ora di fare un bel cambio di allenatore, come capita nelle squadre di calcio quando finiscono a fondo classifica. Conosco poco il sindaco, con cui ho parlato una volta e senza fortuna, ma penso che questa situazione del perfetto capro espiatorio sia davvero scomoda ed invertire la situazione mi pare ormai impossibile, visto che il guinzaglio è diventato cortissimo. Aosta è scivolata molto in basso, sotto il livello di guardia e far finta di niente sarebbe disonesto: urgono soluzioni.