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06 ott 2016

La Désarpa fra poesia e realtà

di Luciano Caveri

E' abbastanza curioso che la "Désarpa", cioè la tradizionale discesa settembrina del bestiame dagli alpeggi, sia diventata - nelle diverse denominazioni che il fenomeno assume dove resiste sull'Arco alpino, al di qua e al di là delle montagne - un fenomeno ormai strettamente legato all'offerta turistica, come avviene anche per i combats delle nostre "Reines", specie nel periodo estivo, quando le "batailles" sono non solo un'occasione per gli appassionati, ma anche un momento per aprirsi ad un pubblico turistico più vasto. Con la Désarpa si spettacolarizza - ed è certo positivo - un fenomeno che nella sua rassicurante ripetitività era da sempre presente nella tradizione, ma si trattava di una sorta di routine, che non pareva ai tempi della mia infanzia meritevole di chissà quale accentuata valorizzazione.

Mentre il successo ottenuto dimostra che il fenomeno delle pratiche antiche, della naturalità, del folklore in senso buono, dei prodotti "chilometri zero" ha creato anche nei turisti che partecipano a certe occasioni una sensibilità in passato inesistente, mentre per noi residenti era appunto una faccia nota della normalità che finiamo noi stessa per enfatizzare. E colpisce che questa valorizzazione avvenga, come in un paradosso, in un momento di viva difficoltà per la zootecnia valdostana e addirittura con il fenomeno ben visibile di molti allevatori che rinunciano - soprattutto per ragioni di "cassa" - alla monticazione estiva del bestiame. L'allevamento, specie bovino e per fortuna con la conservazione del patrimonio di razze locali quanto non avvenuto altrove nel nome della produttività, è da sempre un caposaldo del settore agricolo ed i censimenti agricoli sono lì a dimostrare come, anno dopo anno, vi sia stata una moria di stalle. Ho memoria di quando mio papà, nel suo studio della casa di Verrès, passava ore a scrivere su appositi registri l'andamento delle campagne di bonifica dalle due malattie più dannose dell'epoca: la tubercolosi e la brucellosi. Era un lavoro certosino che serviva per verificare a livello regionale l'andamento di queste zoonosi e a controllare la miriade di stalle che al tempo esistevano ancora. Dagli anni Cinquanta agli anni Novanta, nella sua lunga attività sul territorio (faceva da solo il lavoro che oggi svolgono parecchi suoi colleghi inquadrati nella Sanità pubblica), mio papà è stato testimone dell'incredibile evoluzione del mondo agricolo, ben certificato dal numero degli addetti del settore in discesa in quegli anni e da un settore agricolo con incidenza bassa sui dati economici globali della Regione. E' stata costante ed in fondo rapida la scomparsa delle stalle più piccole, eredi di quella logica di autoconsumo che aveva consentito a generazioni di montanari di contare sui propri animali per vivere in un'economia di sussistenza e in molti casi di povertà e vale la pena di ricordarlo per evitare l'immagine del passato come un Eden. La nascita di grandi stalle, rispetto agli standard locali, è andata di pari passo con l'apertura al mercato e, dal punto di vista politico-amministrativo, con la constatazione che una materia come l'agricoltura, che era competenza primaria secondo lo Statuto d'Autonomia, è stata lentamente spogliata dall'invadenza della legislazione europea, dominata da logiche di pianura più che da abiti confezionati su misura per la particolare condizione di chi allevi in alta montagna. Ma il settore agricolo, sia da Bruxelles che da Aosta, ha avuto una costante e per certi momenti crescente rete protettiva - fatta di aiuti e contributi - che ha consentito una buona sopravvivenza, pur avvolgendo il settore con una mefitica rete burocratica, che è caratteristica di certi sistemi di controllo, fatti di logiche asfissianti e poi magari, con buona pace di certi occhiuti controllori, in certi buchi passano anomalie grandi come elefanti. Lo scenario attuale è noto: la zootecnia soffre e condurre un'azienda è sempre più complesso, anche se si manifestano oculate scelte di diversificazione (tipo agriturismi o vendita diretta in mercatini locali) e ricerca di nuovi spazi di mercato con produzioni di nicchia che allargano lo spettro degli acquirenti. Per cui è bello e mi piace osservare la Désarpa, con i suoi colori, odori, suoni, gusti, ma sia chiaro che non è un teatrino alla Heidi con i suoi figuranti, perché dietro a questo ci sono persone e imprese che remano per stare sul mercato.